di Raffaele Iannuzzi
Gli islamici ammazzano brutalmente, con un’ingordigia ancestrale, degna della profezia di violenza e conquista che hanno nel sangue, ma prima di loro c’è la nostra società nichilista perfettamente organizzata sul fondamento in-fondato del tutto lecito.
In un aureo libretto del 1966 ("Cordula, ovverosia il caso
serio") Hans Urs von Balthasar, un maestro della teologia cattolica, scrisse che
l’identità del cristiano consiste nella sua alterità rispetto al mondo, e che
questa alterità si configura come martirio. E’ il martirio il profilo oggettivo
e storico dell’identità del cristiano come singolo credente e uomo che vive
della sua fede, come afferma san Paolo. Martirio, parola per molti inquietante,
deriva dal greco “martirìa” e vuol dire testimonianza. Ne consegue, quindi,
che per essere testimoni credibili occorre metterci il corpo fino in fondo,
essere disposti a perdere tutto, fino all’effusione del sangue. Tertulliano fu
secco e drasticamente chiaro: il sangue dei martiri è il seme della Chiesa.
Così è, da sempre. "Come nell'antichità anche oggi la sincera adesione al
Vangelo – ha detto Benedetto XVI nel corso dell’Angelus di Santo Stefano - può
richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo
sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio".
In Nigeria, nel giorno di
Natale, è stato ucciso un centinaio di persone, e la mano è sempre quella
del fondamentalismo islamico, latore dell’ideologia della sharia come unico
fondamento della società. Esiste da tempo il franchising scellerato della
violenza terroristica islamica, da quando Al Qaeda ha decentrato la sua leva
armata, formando e facendo formare sui singoli territori i nuovi assassini
dell’islam. Questo in Nigeria è l’ultimo tragico risultato di una scia di
sangue che ha strategie, contorni e progettualità ben precise. La Nigeria ha un presidente cattolico, Goodluck Ebele Jonathan, ed è un paese tollerante, con
plurali forme e germi di civiltà religiosa, più ispirato al pensiero del
profeta della libertà nera ed intellettuale pubblico, il poeta cristiano
Léopold Sédar Senghor, che alla violenza ideologica diffusa tra un massacro e
l’altro dai seguaci del profeta Maometto. Tutti contro la violenza, nel mondo
civile. Tutti, nessuno escluso. Perché non costa niente. L’aveva appunto
scritto con lungimiranza profetica Balthasar: una volta attaccati, tutti
saranno dalla nostra parte, soprattutto i nostri carnefici.
Ma, allora, i
carnefici dei cristiani nigeriani oggi, e di altre centinaia di migliaia di
cristiani in ogni angolo della terra, non sono gli islamici? Certo, loro
ammazzano brutalmente, con un’ingordigia ancestrale, degna della profezia di
violenza e conquista che hanno nel sangue, ma prima di loro c’è la nostra
società nichilista perfettamente organizzata sul fondamento in-fondato del
tutto lecito, madama la marchesa. Anche quando, come oggi, non va tutto bene,
madama la marchesa, perché c’è la crisi, però è tutto lecito – questo sì –
madama la marchesa. Anche la crisi è frutto del massacro della verità e,
dunque, della vita nei suoi fondamenti, ma è meglio e più notarilmente
accettabile che la questione sia basata sui grandi numeri dei massacri dei
cristiani, salvo poi incenerire la verità sulla scorta della sfibrata pietà,
del pietismo, e – passaggio finale – custodire il teatro del nulla sulle cui
tavole recitano i soliti personaggi in cerca d’autore, così, come se niente
fosse.
L’indifferenza nei confronti del sangue dei cristiani è algoritmica, è
un’equazione perfetta, uno straordinariamente ben congegnato “se p, allora q”:
se Dio non esiste, tutto è permesso. I cristiani muoiono ogni giorno anche
perché si suicidano come testimoni di Cristo, preferendo aderire al grande
modello dell’Organizzazione sociale della vita, parlare della Grande Crisi come
se non sapessero da dove derivi, inserirsi nei gangli dei nuovi Direttòri para-napoleonici in cerca della “salvezza” atea dell’Italia, che non sfiora
neanche di sfuggita la salvezza legata alla nascita del Dio Bambino nella
mangiatoia di Betlemme. Ecco il punto: l’indifferenza è in-differenza, ovvero
niente fa più la differenza. Dunque: trangugiamo la morte perché questa è una
società fondata sulla morte. Perché se sei cattolico, lo dichiari, vivi la tua
fede e pensi e agisci secondo essa, sei fregato, punto. Il martirio è “bianco”,
in questi casi, ma è l’incunabolo della Nigeria: tutto si tiene. E nessuno
ritiene che ciò sia scandalo, pietra d’inciampo, necessario infuso della verità
da trangugiare, ora, per rinascere. Ma si continua come gli “uomini impagliati”
di Eliot, “che appoggiano l’un l’altro la testa piena di paglia”. E’ lo
scenario di oggi; ancora Eliot: “Figura senza forma, ombra senza colore; forza
paralizzata, gesto privo di moto”. Tutto si tiene ancora una volta e conduce
verso il nulla.
L’apocalisse è soltanto quello che esprime, vuol dire
“rivelazione”, e rivela quel che è già oggi condensato nelle agenzie di prassi
sul massacro nigeriano, perché questi tabulati del nulla sono stampati da
“uomini impagliati”, dunque cosa mai possono produrre? Non c’è più orrore né
reazione, di fronte al macello dei fratelli uomini, perché non ci sono più
fratelli in giro, ma automi che schivano i colpi della vita, cadaveri ambulanti
che glissano le pietre dell’esistenza, fingendo, così, di poter avere la loro
chance di sopravvivenza. Certo, per sopravvivere così ci vuol poco. Parigi val
bene una Messa, ma un aborto di respiro non ha bisogno del sacro ad
invischiarsi, potente, dappertutto, in ogni piega del giorno. Ha solo bisogno
di informazioni, di sapere quanto non lo colpirà: cos’è successo, oggi? Ah sì,
cento morti in Nigeria…i soliti fondamentalisti islamici… al solito… Sempre
Eliot: ”E’ questo il modo in cui il mondo finisce, non già con uno schianto ma
con un piagnisteo”.
(pubblicato su "Il Tempo" del 27 dicembre 2011)
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