sabato 7 aprile 2012

LO STATO SULLA/DELLA NAZIONE

La crollo strutturale della Lega non è una questione morale, ma politica. Non è con il moralismo e neanche con la riforma del finanziamento pubblico dei partiti che si risolve il problema. Perché non si tratta di un "problema" gestionale, ma di una crisi storica e verticale. L'Italia, a partire dai prmi anni '90 del secolo scorso, ha chiuso bottega ed è diventata una nazione alla mercè di poteri extra-politici. Prima la magistratura con Tangentopoli. Poi l'avanzata delle élites sedicenti "politiche" al governo del Paese. Vent'anni di disastri e fallimenti a catena. Berlusconi ha destrutturato il suo progetto di rivoluzione liberale (non gobettiana), passando dalle famose due aliquote, dunque alla rivoluzione fiscale, al tetto di spesa pubblica più elevato da cinquant'anni a questa parte, fino alle comiche finali dell'appoggio ad un direttorio tecnico che, di fatto, gestisce le risorse della nazione con metodi più vicini all'esproprio non proletario, ma commissariale, che non al liberalismo, se non anglosassone, almeno continentale, di buona scuola. I due grandi partiti, Pdl e Pd, sono afasici, spenti e hanno investito sulla loro sopravvivenza foraggiando di voti il carnefice dell'Italia. La Lega cade proprio quando esce dal "circolo magico" dell'endorsement a Monti - il vero "circolo magico" - e gioca una partita tutta sua, all'opposizione. Che la Lega non fosse un partito "diverso" era chiaro ai più attenti osservatori della politica e Bechis lo documenta, attingendo ad esperienze personali e qualche fatterello non propriamente banale degli anni '90, su "Libero". Leonardo Facco ha scritto un libro sulle malefatte finanziarie e gestionali della Lega, riconducendo il tutto allo scacco di una politica nata negli anni '90 contro lo stato e finita a scroccare risorse dal Leviatano, esattamente come tutti gli altri. E questo perché? Semplice: perché, quando fai politica in una democrazia corporativa come la nostra ed hai centinaia di migliaia di militanti da sostenere, gente spesso proveniente dalla sinistra ed abituata a ragionare come gli scalatori del Leviatano pro domo sua, non puoi che giungere a quanto oggi emerso nei fascicoli giudiziari. Oggi non abbiamo più memoria storica, neanche memoria breve, dunque non ricordiamo più gli sciagurati anni '90. La retorica anti-politica, giustizialista e giacobina ha dipinto gli anni delle manette, della finanza anglosassone e dei poteri forti stranieri che vogliono un'Italia malleabile ai disegni di "modernità" da loro vagheggiati per fini inconfessabili, delle monetine lanciate contro Craxi e via discorrendo, come l'Età dell'Oro, ma, in realtà, è stata l'età della decadenza storica del sistema-Italia e la fase che ha aperto la strada alla tecnocrazia monocratica, finto-liberale, eurocratica e costruttivista che oggi domina, più che governare, la politica. A ciò aggiungiamo la deriva nichilista, lo smantellamento del welfare familiare efficiente e l'ascesa del welfare istituzionale inefficiente, leggi alla voce "stato", e la partita è chiusa. Endgame, come scriveva Beckett, fine del gioco, mentre le folle (ormai) anonime e rigonfie di suicidi - 70 dall'inizio del 2012 - o potenziali suicidi si avvelenano con dosi massicce e sempre più virali di rabbia. La Lega, all'opposizione, dopo aver fatto opposizione al progetto originario - per necessità di riproduzione del suo gruppo di comando in un sistema corporativo e statolatrico come il nostro - è il frutto di questa vicenda. Una vicenda largamente costruita sulle macerie della migliore classe dirigente che il Paese abbia avuto,  cresciuta nell'alveo, condiviso a livello popolare, delle comunità storiche italiane, dal cattolicesimo al socialismo democratico; una storia che oggi si prende le sue rivincite, come per una giusta nemesi e da molti invocata, ma in un contesto massacrato dal fallimento di questa "classe dirigente" - inevitabilmente degenerata in "classe digerente" - mediocre, senza cultura, impallinabile da qualunque notabile fintamente tecnico di turno. Paradossalmente, nonostante tutto, c'è in giro una grande fame di politica ma, caso più unico che raro, non canalizzabile verso un vero progetto da questa catacombale e spettrale sommatoria di fallimenti, anche umani. Si apre una voragine, in questo Paese, che probabilmente farà anche nuovi caduti e nuovo sangue, di qui a breve. Ma, se fallisci e non comprendi le ragioni del fallimento, anzi ti ostini a tener duro con la guerra retorica delle dichiarazioni, perfino davanti a questa indecente contro-riforma del lavoro (da cassare per intero in Parlamento), e qui parlo del Pdl, allora non c'è più partita e il residuo contabile sarà il tuo destino. Con la Lega al tracollo, il Pdl alle corde e il Pd smembrato, la politica esce di scena. Qualcuno dovrà gestire il potere e lo farà chi non rappresenta nessuno, ma dirige tutto: la tecnocrazia di stato. Questo è lo stato sulla e della nazione. Lo stato senza maiuscola che sgonfia la democrazia e si nutre del crack dei partiti. Buona Pasqua.
Raffaele Iannuzzi

sabato 31 marzo 2012

OLTRE OGNI MISURA

Il filosofo Wittgenstein disse: "Di ciò di cui non si può parlare, è meglio tacere". Verissimo. Di cosa possiamo parlare, infatti, oggigiorno? Qual è l'oggetto della nostra anaalisi? Dei nostri commenti? Come si fa a parlare, senza inveire, di questo direttorio di tecnicastri che sta ingessando e ammazzando in misura storicamente inarrivabile il nostro Paese? Monti va in giro per il mondo a cercare pacche sulle spalle o coccole, se vi garba di più, da Obama, che poi non se lo fila di pezza, ma intanto l'ingegnoso apparato comunicativo di Palazzo Chigi new style si inventa l'iperbolico WOW! del Presidente americano più incapace di tutti i tempi (Carter al confronto era uno statista a diciotto carati); poi va in Cina, non prima di aver sbertucciato per l'ennesima volta la classe politica più codarda della storia della nostra singolare Repubblica - oggi neopresidenziale in pectore, con Re Giorgio a menare le danze, e non si capisce che stia combinando da quelle parti; nel frattempo, il fottuto spread, che ha causato la sua ascesa al potere, risale, e perfino Re Giorgio si preoccupa (Casini gli viene dietro, ma lui è il nuovo maggiordomo di casa Monti); quindi, dopo aver incassato la cazzata del WSJ sul suo pedigree da Thatcher (Oh my God!), si infila da politicante senza platea politica nel gorgo del lavoro, affermando, stentoreo: "Non si torna indietro".
Domanda: ma di che parliamo?
Qui siamo oltre il linguaggio. La realtà ci racconta che gli italiani hanno ormai capito che la benzina è un lusso per ricchi, perché costa 2 euro al litro; che la casa è un bene di lusso e che verranno tassati modello patrimoniale; che il gas, la luce, l'acqua, tutto salirà e gli stipendi saranno bagattelle per un massacro; il tutto per far cosa? Per riassettare i conti, che ancora non tornano; per far risalire l'economia con il metodo "ammazza il cavallo e poi convincilo a correre per il titolo mondiale"; soprattutto: per far contenta l'Europa, la quale è a distanza siderale dai cittadini, da sempre, e se ne sbatte, dall'alto delle sue varie nomenklature diffuse in ogni dove di quella cosetta che si chiama "sovranità nazionale". Anzi. Il dogma europeista è che siffatta realtà sia la profezia del disastro che si autoavvera, ergo: il diavolo in carne e ossa, anzi in frontiere e spazi, per dirla con quel geniale spirito libero di Regis Debray che - leggiamo su "Libero" - ha appena pubblicato un aureo libretto, Elogio delle frontiere, in cui spiega che o ci si sente parte di qualcosa che è delimitata da confini e che si differenzia da altro o siamo niente, la fuffa del mondo che vaga per lo spazio gestito dai controllori di turno. I quali parlano - male, come Monti - l'inglese e fingono di non essere italiani. e hanno ragione: sono italioti. Che fa rima con idioti.
Raffaele Iannuzzi

venerdì 2 marzo 2012

"RICCHEZZA" NO Tav?!?


Di Francesco Natale

 "Vittime coscienti della loro nullità e soggetti diuturnamente alla strumentalizzazione di frange politiche che ne pompano l'ipertrofia egotica al mero fine di accaparrarsene un domani il consenso elettorale, questi la libertà manco sanno dove stia di casa, e alla loro "ricchezza" continuiamo serenamente a preferire la nostra libera, liberissima povertà..."


Partiamo da un assunto: la mole di violazioni alla libertà soggettiva che tolleriamo quotidianamente ha raggiunto proporzioni titaniche.

Debitamente carburati da quattro deficienti vestiti di viola abbiamo preteso di passare al microscopio la soggettività retributiva della classe politica, senza renderci conto che quello è stato il primo, fatale passo per consentire al moloch tecnocratico di vivisezionare con dovizia mengeliana i conti correnti di tutti i cittadini, netturbini o parlamentari che fossero.

L'integrazione tra anagrafe tributaria e sistema bancario ci rende tutti schedati in automatico.

A questo aggiungiamo l'obbligo di giustificare prelievi bancari (di soldi nostri!) sopra i mille Euro, l'obbligo di segnalazione da parte dell'esercente per acquisti superiori ai 3000, l'obbligo di pagamento immediato di un terzo della somma eventualmente contestataci tramite cartella esattoriale, giustificata o meno che essa sia.

Se poi siamo soliti utilizzare denaro elettronico, non ne parliamo neppure.

Siamo un popolo a libertà limitata, o a schiavitù legalizzata, se preferite.

Tutto questo per il fatto che non solo abbiamo consentito di essere rinchiusi all'interno di un panopticon che tutto vede e tutto sa, ma abbiamo pure festeggiato briosamente l'avvento dei carcerieri.

E in questo quella farloccata inconsulta della cosiddetta "legge sulla privacy" non c'entra nulla: qui parliamo della compromissione di una soggettività naturale che dovrebbe prescindere da qualsiasi legge positiva.

Ora, assodato che indietro non si torna, mi permetto di pretendere con tutta l'incazzatura del caso che la medesima pervicacia autoptica sia adoperata nei confronti di quei relitti umani che collettivamente sono conosciuti come "no tav".

Perché a vedere quotidianamente quelle facce lombrosiane che paiono uscite da un dipinto di Goya io non mi accontento più di una semplice schedatura stile DIGOS.

Voglio sapere nel dettaglio da quale contesto familiare (ammesso che ne abbiano uno...) sono usciti. Voglio sapere quali scuole hanno frequentato. Voglio avere accesso alle loro cartelle cliniche. Voglio sapere quanti di loro in percentuale fanno uso di sostanze psicotrope. In caso positivo voglio sapere se dette sostanze lor signori le acquistano tramite la medesima malavita organizzata che essi dicono di contestare o se possiedono laboratori per prodursele in proprio. Voglio sapere che lavoro fanno. Voglio sapere quale è la natura e l'entità delle loro entrate economiche.

Voglio avere tutti i loro profili psicologici in modo da evidenziare se siano o meno dei falliti sul piano umano ed esistenziale. Voglio riprendere per 2 settimane filate la loro quotidianità per verificare o meno se le autoelettesi "buone-madri-di-famiglia-che-pensano-al-futuro-dei-propri-figli" sono davvero tali oppure se, mentre le suddette sono impegnate a "galvanizzare le masse", i loro rampolli giocano in cantina con le bombole di azoto liquido. Voglio sapere, così come lo Stato ha il potere di saperlo nei miei riguardi, quali libri leggono e dove li acquistano.

Quindi, dopo aver raccolto tale marea di dati, vorrei realizzarne qualche bell'abstract, magari con grafici statistici esplicativi, stamparlo su 10.000 T-Shirt e distribuire le medesime in giro, un pò qua, un pò là.

Perché a sentire il capobastone del centro sociale occupato "Askatasuna" che parla di incompresa"ricchezza" culturale e politica del "movimento" a "Piazzapulita" su La7, io in questa smisurata "ricchezza" ritengo di avere pieno diritto a metterci mano, proprio come San Tommaso. Voglio davvero valutare l'entità di questo "patrimonio" dell'Umanità, prima che l'UNESCO tale lo dichiari.

Voglio sapere in che cosa questa "ricchezza" differisce, è più "alta" e "nobile" rispetto a quella dei comuni cittadini con altrettanto comuni vite normali.

Voglio sapere se per partecipare degli "utili" di questo "capitale" mi basta acquistare azioni e/o obbligazioni oppure se la mia iscrizione all'esclusivo registro dei soci passa necessariamente per la violenza privata, l'incendio doloso, il tentato omicidio.

Voglio sapere se questi novelli Paperon de Paperoni dell'umana grazia sono effettivamente interlocutori politici o, più semplicemente, saltafossi che non hanno mai fatto i conti con la propria spaventosa, abissale mediocrità e che trovano comodo rifugio nel degrado e nello squallore, tale per cui ci si autoconvince che l'abominio di un'esistenza sprecata possa essere riscattato dallo snocciolare inutili mantra ispirati alla sociologia d'accatto dei quali manco si comprende l'elementare e superficiale significato o dal lancio di una pietra contro gli odiati celerini.

La catarsi del sanpietrino, insomma, o il valore apotropaico del mattone che scaccia i demoni, se preferite. E da quando in qua questa è "Politica", scusate?

E, prima del Gran Finale, consentitemi una digressione proprio sulla mediocrità: si tratta di un male comune col quale non sappiamo più fare i conti, e che non riusciamo più a vedere come risorsa spendibile.

Complici un sistema scolastico delirante ed un mercato del lavoro neocorporativo, abbiamo completamente perso ogni elementare senso critico: ci iscriviamo a 18 anni all'Università, magari dopo essere passati indenni da 13 anni 13 di sistema scolastico e senza mai aver sfogliato un quotidiano, pensando già a quando faremo i "ricercatori" o gli "amministratori delegati" o i "principi del foro". Diciamo di mirare all'eccellenza (e in questo una politica strumentalizzante getta benzina avio sull'inconsistente falò della nostra vanità...) e nel momento in cui i fatti, che hanno la testa dura e se ne fottono altamente delle dichiarazioni di intenti e delle mozioni di sentimento, ci costringono a ridimensionare tali aspettative siamo irrimediabilmente perduti. Non riusciamo minimamente a comprendere che la Realtà socio/economica non è fatta esclusivamente di prime file, ma anche di seconde, terze, quarte e così via.

In una parola, non prendiamo più coscienza della nostra eventuale mediocrità: ci compriamo tutti contenti una Stratocaster e pretendiamo di diventare Yngwie Malmsteen in mezzora, come se il talento innato non esistesse e non fosse qualcosa, ahimè, destinato a pochi.

Ora, anziché sfruttare positivamente la nostra mediocrità, applicandoci con sforzi decuplicati al fine di conseguire (cosa possibilissima) un briciolo di autostima in più e un ruolo sociale decente, ci autoemarginiamo, ci abbandoniamo al solipsismo, entriamo nell'anticamera del degrado, con la ferma convinzione, of course, di essere dei geni incompresi e con la granitica pretesa che tale "genialità" venga quanto prima riconosciuta, apprezzata, adorata e vezzeggiata.

Quale collocazione migliore, quindi, del "movimento"?

Una moltitudine nella quale ci si può quotidianamente "confrontare" con altrettanti geni incompresi, la cui tessera di ingresso si paga sputazzando un pò di fiele sulle "istituzioni", nella quale si fa "kultura" prescindendo da Dante, Manzoni e Petronio ma, la limite, leggiucchiando malamente Orwell o Kerouac e fumando balle intere di marijuana.

E questi sono i soggetti che si permettono di definire "sbirri&caramba" servi e schiavi?

Vittime coscienti della loro nullità e soggetti diuturnamente alla strumentalizzazione di frange politiche che ne pompano l'ipertrofia egotica al mero fine di accaparrarsene un domani il consenso elettorale, questi la libertà manco sanno dove stia di casa, e alla loro "ricchezza" continuiamo serenamente a preferire la nostra libera, liberissima povertà...








martedì 28 febbraio 2012

MASSA E VIOLENZA

Il concetto di "massa critica" è tra i più frequentati dalla sociologia e dalla politica, soprattutto di sinistra. Cosa vuol dire "massa critica"? Ripariamo, come spesso accade, su Wikipedia: "Massa critica indica in generale una soglia quantitativa minima oltre la quale si ottiene un mutamento qualitativo". Tradotto: se accadono un numero tot di fenomeni, valutabili come il minimo sindacale di una catena di situazioni complesse e addirittura complicate, si arriva a determinare un mutamento di prospettiva generale, di mentalità collettiva e, dunque, di qualità. Qualcosa che non è soltanto da contare o quantificare ma che, in qualche modo, acquisisce vita propria, si muove da sé, è autonomo.
Ecco, in Italia, questo fenomeno ha un nome: terrorismo. E si è determinato anche per la stratificazione di fenomeni, ad uno ad uno non inscrivibili in un sistema, magari, ma, presi tutti insieme, decisamente influenti sul piano sistemico. Tanto che non si può pensare e leggere la storia di questo Paese senza fare riferimento al terrorismo: da massa critica a Evento collettivo.
Premessa generale per dire che - attenzione - siamo ancora in questo circolo diabolico. I residui di questa fenomenologia non solo violenta, ma ancor più violentatrice sul piano ideologico, sono davanti a noi: il sindaco di Milano ha un capo di gabinetto coinvolto in gravi azioni eversive nel 1977; un'altra dipendente dello stesso Pisapia, processata come brigatista, promossa sul campo (istituzionale). E' una realtà che vorremmo consegnare all'acribia di assai istituzionali archivisti, ma che l'evidenza dei fatti non ci consente di fare. E' la lunga scia di quella massa critica divenuta mentalità collettiva e oggi coinvolgente l'inconscio collettivo. Né è tutto.
Pensiamo alle manifestazioni no-Tav. Ancora oggi Cremaschi della Fiom parla di qualche "testa matta" nel paniere di gente perbene che manifesterebbe occupando "semplicemente" spazi non banali di demanio pubblico, strade, salendo su tralicci, magari con qualche reminiscenza legata alle imprese di Feltrinelli (appunto: la memoria della massa critica ormai divenuta autonoma). Il movimento no-Tav è molto gettonato e dunque inquinato da terroristi e antagonisti che non ci pensano due volte a menare le mani contro i poliziotti. Un inquinamento derivante da quella lunga storia e da quella lunga scia di massa critica divenuta infine realtà autonoma, immaginario unico e dominante di eversione, ad uso e consumo di chiunque voglia bloccare imprese modernizzatrici, riforme e altro di anche solo lontanamente ravvicinabile alla politica. Siamo ancora nel '900, in questo Paese. Non solo nella base antagonistica, ma anche nelle alte sfere delle istituzioni e dei sindacati. Dunque, un movimento reazionario contro la nuova massa critica del XXI° secolo, che non è soltanto globalizzazione, ma anche - e forse soprattutto - nuovo capitalismo generato dal talento e dalle risorse individuali e personali. Una sorta di "intelletto generale" generato dal potere degli individui, in un mondo, certo, pieno di contraddizioni sistemiche. Ma un altro mondo. Con un'altra massa critica. Che ognuno si tenga la propria, di massa critica. Ma quella nuova non produce blocchi e sangue, ma sacrifici, questo sì, e, insieme ad essi, chances di vita. altrimenti, non c'è davvero partita.


Raffaele Iannuzzi

giovedì 16 febbraio 2012

DE MAGISTRIS E LA DEMOLIZIONE DELL'EPOS


 Di Francesco Natale


"Abbiamo consentito che i nuovi "maestri del pensiero", da Corrado Augias ad Eugenio Scalfari passando per Paolo Flores d'Arcais e Hans Kung demolissero, con diuturna perseveranza, gli archetipi che, per loro stessa natura, stavano alla base della nostra civiltà occidentale"


Sono ancora fresche le immagini del tostissimo spot che Clint Eastwood ha girato per Chrysler in occasione del Superbowl, tutto mascella quadrata, voce di cartavetro e american dream a bizzeffe. Un uomo, un attore e un regista, Clint, che forse più di ogni altro incarna oggi l'immagine di quell'America "as it should be", ovvero "come dovrebbe essere".

E...da questa parte dell'Occidente a noi che cosa tocca?

Semplice: Luigi De Magistris che in un video di rarissima guapperia dà del "tu" ad Al Pacino, straparla di una Napoli digitale proiettata al futuro (quando riuscirà a digitalizzare la rumenta ne riparleremo...), e invita la grande star americana a presentare il suo ultimo film, "Wild Salomé" nella capitale partenopea.

Illuminante, tra le innumerevoli perle, il seguente passaggio: "(...) Comunico per la prima volta con te (Al Pacino -nda-) a una telecamera per manifestare il mio grandissimo apprezzamento per la tua storia di attore, per quello che hai fatto anche nell'impegno sociale e civile in tanti film, da Serpico, il Padrino, Scarface che è diventato per i criminali anche un modo, come dire, da seguire nelle ville della Camorra e che oggi invece lo Stato ha ripreso per farne dei beni confiscati destinati alla società".

Cosa avrà voluto dire quest'uomo e, soprattutto, cosa mai si aspetterà che capisca di questa ardita circonvoluzione linguistica l'amico Al?

Ora, nessuno pretende da un ex magistrato un contegno linguistico da cruscante, tuttavia questo, più che il Sindaco di Napoli, pare il Sindaco di Palomonte e Contursi Terme (qui il link per sapere di chi stiamo parlando: http://www.youtube.com/watch?v=iCMK2Njj9Es)

Materiale da (odiosissima, per carità) Gialappa's Band, insomma.

Ma al di là della sguaiata comicità involontaria, il "discorso" di De Magistris pone qualche non banale spunto di riflessione.

E' fisiologico, infatti, che un Sindaco cerchi di fare marketing iperbolico a favore della propria città, nulla da dire.

Quello che colpisce qui, però, è l'insieme di "pilastri valoriali" a cui De Magistris fa riferimento: l'impegno sociale e civile, la Napoli cibernetica di Iksos (???), una "Napoli che ha il cuore rivolto al Sud del Mondo ma lo sguardo puntato a Nord" qualunque cosa ciò possa significare, una spruzzata di Camorra-ville-confisca che non guasta mai e il "crossroad" socio-culturale che, stando al signor Sindaco, caratterizza da sempre la sua città (che si sia confuso con la Istambul dei Litfiba?).

E' un chiarissimo (almeno questo...) richiamo agli odierni valori che connotano l'eroismo moderno, tutto fatto di "solidarietà", "tolleranza", "digitale", "multiculturale", "antimafia", "educazione fiscale", "accoglienza", verde speranza, giallo canarino e rosso fuoco. Parole di nebbia, insomma: prive di qualsivoglia significato concreto, ovvero aderente alla Realtà, ma che sono in grado di affabulare immediatamente una platea dall'encefalo bollito e salmistrato ormai inossidabilmente convinta che la semplice parola, soprattutto se pronunciata da cotanto oratore, abbia capacità demiurgiche, ovvero basti da sola a modificare come per magia la Realtà fattuale.

Questo è il dato più preoccupante: dopo il Gottverdammerung, ovvero la disintegrazione degli archetipi tradizionali, e con l'avvento del "gandhismo" (che è roba ben diversa rispetto a Gandhi), ecco l'alba della nuova generazione di eroi: Gino Strada, i delatori fiscali, Rigoberta Menchu Tum, Vandana Shiva, Ward Churchill, Eddie Vedder, Sinead O'Connor e altro ciarpame del genere.

Il fenomeno è presto spiegabile: esiste da parte dell'individuo una necessità latente di identificazione con qualcosa che sia "altro" da sé e "migliore" del sé, la qual cosa non implica necessariamente un complesso di inferiorità o l'insoddisfazione caratteristica del maniaco depressivo, quanto più la scelta di un modello positivo da seguire.

E'esattamente in quest'ambito di autoricerca che rileviamo gli effetti più devastanti del positivismo, qui inteso come materialismo puro volto alla demolizione del mito, cioè dell'epos: abbiamo consentito che Bernardo di Chiaravalle venisse degradato al rango di squadrista xenofobo, che San Giorgio venisse considerato un pericoloso nemico dell'ambiente vista la strage di rettili di cui si è reso responsabile, che Capitan America fosse bollato come alfiere dello sciovinismo imperialista statunitense, che Artù venisse ricordato solo come gran cornuto e, al contempo, che Lancillotto divenisse portabandiera del libero amore in libero regno (con buona pace di Chretienne de Troyes...), che i Saxon fossero chiamati porci fascisti perché hanno pubblicato nel 1984 un disco (bellissimo, per altro) intitolato profeticamente "Crusader". Ultimo ma non ultimo, abbiamo pure consentito che quel saltafossi tristanzuolo di Francesco Nuti profanasse uno (tra i tanti) vertici della nostra eccelsa letteratura, ovvero Pinocchio.

Abbiamo, in una parola, consentito che i nuovi "maestri del pensiero", da Corrado Augias ad Eugenio Scalfari passando per Paolo Flores d'Arcais e Hans Kung demolissero, con diuturna perseveranza, gli archetipi che, per loro stessa natura, stavano alla base della nostra civiltà occidentale.

Ma la necessità di identificazione connaturata alla nostra condizione umana non è scomparsa e, anzi, continua ad invocare prepotentemente modelli di ispirazione: solo che oggi, non paghi di aver sostituito Dio con la "costituzione", abbiamo pure permutato Prince Valiant e Tex con la raccolta differenziata e la "solidarietà", perdendoci, e pesantemente, nel cambio.

Forse è anche per questo che ancora oggi qualcuno guarda speranzoso all'America: un paese che, nonostante i tanti mutamenti e gli innumerevoli passi falsi difende e conserva gelosamente la propria storia e le proprie tradizioni; un paese che forse dimenticherà presto Obama, ma che certamente ricorderà per sempre Clint Eastwood e Ronald Reagan.

E noi? Beh, noi siamo a posto: possiamo consolarci con "l'amico" di Al...


lunedì 13 febbraio 2012

IL FARISEO POLITICO

Giulio tremonti, ex-tutto del centrodestra, oggi nuovamente guru, con un libro dal titolo scopiazzato da Ignazio Silone (e il vecchio saggio Formica ha gioito di ciò...o tempora o mores...), "Uscita di sicurezza", ha letto con attenzione Toni Negri. Ha bacchettato l'antagonista Casarini davanti ad un Santoro basito a dir poco, con un "ma l'hai letto "Empire" di Toni Negri?". Il fariseo all'attacco come ogni fariseo: fuori tempo massimo. Ma Negri esiste e parla, ascoltatelo in questo video esilarante per livello di banalità e pressapochismo; leggete poi Christian Marazzi e le sue tesi sul "comunismo finanziario" (più solide di quelle di Negri) e ditemi poi che c'entra tutto questo con il "fascismo finanziario". Il fascismo salvò l'Italia con l'Iri, sbertucciando la finanza che mandava al suicidio i manager americani, dopodiché dettò l'agenda politica anche a Roosevelt e al suo New Deal, il più grande progetto leviatanico della storia, non dissimile dal nazismo e dal comunismo, per molti aspetti. Il New Deal piace molto anche a Tremonti, non so se mi spiego...
L'unica luce di quell'imbarazzante piece teatrale a cui abbiamo assistito - il Tremonti fan di Negri - ha preso la forma pacata e acuta di un esponente del Tea Party, che ha fatto le pulci come si deve all'ex ministro dell'economia di centrodestra e creatore di Equitalia. Leggete - ha suggerito l'amico del Tea Party - "Lo stato criminogeno" di Tremonti, quello sì era un libro, poi contraddetto punto per punto dal più criminogeno ministro della cosiddetta Seconda Repubblica (ammesso e non concesso che sia mai esistita, per me no, pura e perniciosa fictio paracostituzionale e storico-ideologica). Perfetto. Mi fermo qui. Il resto lo capirete dalla visione del video di Negri e dal contesto nel quale egli discetta, da bravo fariseo anch'egli ex di un sacco di cose, come se sapesse e potesse, mentre, in realtà, non sa e non può. Tremonti sapeva, invece, e poteva. La montagna ha partorito il topolino. Allora, appropinquiamoci all'uscita di sicurezza, che Tremonti s'avvicina. Di nuovo.


Raffaele Iannuzzi

sabato 4 febbraio 2012

Deve fallire

"E poi dicono del commissariamento della Merkel! Che la Merkel ci commissaria! Magari! Domani, cazzo, ci commissariasse, almeno se levamo de torno 'sta mmerda...". Un cinquantenne di Tarquinia, un geometra, che lavora come tutti noi e, per lavoro, è costretto ad attraversare quella sottospecie di suburra che è diventata Roma, millantata come Capitale, al più un capitolo da chiudere o riaprire con un altro incipit, please. Incazzato, come tutti noi, avventurieri per un giorno, in una roma che ha deciso di fottersene, come sempre, dei cittadini e dei singoli, quietamente adùsa a pavoneggiarsi con gli algoritmi dello scaricabarile: Alemanno è riuscito perfino a dire - ahahah! - che "il meteo non l'aveva avvertito" (sic!). Quattro fiocchi di neve hanno letteralmente bloccato Roma. Due settimane di tamtam su 'sta roba del freddo, del gelo, delle truppe nordiche provenienti dalla Mongolia, con tanto di appendice letteraria sul mito del "generale inverno" e questo primo cittadino di una città millantata come Capitale ci viene a raccontare del gap tra meteo e centro strategico di soccorso, cazzate di questa natura. Morale della favola. Devo ritornare a Grosseto e prendo il solito regionale veloce; meglio: salgo sul treno, a Termini, dopo aver correttamente obliterato il biglietto; salgo in carrozza, mi metto comodo, oh! ce l'ho fatta, dopo un pò di ciac-ciac per Roma sono alfine giunto a destinazione, faccio in tempo ad ingoiare un bel panino, 3,50 euri, lo chiamano "Scilla", e subito mi accorgo di essere catapultato nella Cariddi dello svenimento della ragione: "Contrordine compagni viaggiatori! Si deve andare tutti a Ostiense, perché da qui non si parte; metro B, please, prego circolare...". Tutti in fila indiana come coglioni metropolitani all'addiaccio in direzione fottuta metro b, direzione Piramide, dove troveremo la stazione Ostiense dei miracoli ad accoglierci. Nel frattempo, facciamo in tempo, giunti colà a vedere in diretta un'oca che ha scambiato la carrozza della metro per il treno chiamato desiderio e, appiccicata alla borsa che ha infilato nella porta del treno della metro, per un pelo non si sfracella; certo, è riuscita a bloccare ogni operazione di sfollamento truppe verso Ostiense, facendo dilatare petto e cinturone ad un coglione di guardia giurata che provava a fare il Russel Crowe della situazione: "Ahò, nun ve preoccupate, nun toccate gnente, bboni...nun se pò annà più a Ostiense cò 'sta carozza, scennete...", in quello slang globalizzato che legittima chiunque a parlare un lemma non genitoriale solo perché così fan tutti, incluso il coglione di cui sopra. Alla fine, eccoci a Ostiense, binario 4, un freddo bestia, girandola di treni soppressi, un intercity direzione Ventimiglia a fare da mediano di spinta, soprattutto della speranza, e poco altro, il regionale veloce per Pisa era il sogno erotico di un pomeriggio di fine inverno, con il direttorio del nulla chiamato Ferrovie dello Stato a scortare con la voce chiamate deliranti di treni prima in vita, poi soppressi, infine resuscitati. Avanti-andré così, con gente che saliva su treni fantasma, arrivava a Termini, per poi scendere, e gente che, con il treno fermo a Termini, doveva raggiungere Ostiense per non meglio precisato motivi. L'immagine del caos italiota in diretta. Alla fine, dopo sei ore, sono giunto a Grosseto, con in testa un'idea fissa, da matto: l'Italia deve fallire. Sì, deve proprio andare giù come un sacco vuoto. Merita di fallire. Perché solo così gli uomini veri potranno farsi avanti e cancellare dal davanzale le comari di Montecitorio e del Comune più disastrato d'Italia, che polemizza con i capi della protezione civile, senza nessun numero per poterlo fare. non è vero che la politica - da noi amata visceralmente - sia tutto e che tutto possa reggere e giustificare. Così pensavano i comunisti, i fascisti e i nazisti; no, cazzo, non è così: giù tutto. Monti è un pezzo di questo sistema, ma non mi interessa in questo momento. Finché qualcosa ancora sarà retta da noi poveri coglioni che ci mettiamo sei ore per fare tragitti di 2 e mezza e poi dobbiamo arrenderci alla legittimazione indiretta del commissariamento tedesco, a cagione di tanto smembramento di ethos, civiltà e umanità, niente cambierà. Aveva ragione Miglio: giù tutto. E ciò non per impoliticità demagogica, ma per sottile senso politico. Il Comune di Roma ha qualcosa come 62mila dipendenti, in crescita esponenziale. Bene, un sindaco vero precetta 2mila di questi signori, muniti di pala, e giù a spalare neve, per aiutare i cittadini, secondo norme e statuti comunali, civici, umani. Come diceva Gaber: qui manca l'uomo, non c'è più l'uomo. Senza questo fattore - il Fattore P, come Persona -, tutto viene giù, e allora che vada giù. Se nessuno di lorsignori ha intenzione di dedicarsi alla res publica o di fare quanto coscienza e dovere richiederebbe, magari minacciando certificati di deficienze alla schiena o vattelapesca cosa, perché spalare è duro, ma fa bene all'anima e aiuta chi è in difficoltà - sto congetturando, anzi immaginando un'Italia che non c'è -, allora tutto crolla, e l'Urbe deve essere presa con la forza dai Lanzichenecchi, che, in fondo, sono già nel nostro umbratile immaginario, come testimonia il ruvido e intelligente geometra di Tarquinia, il quale, mentre ingoiava il fumo della sua Pall Mall, biascicava il vero: "Qui è tutto un casimo, te lo dico io, va tutto in vacca". Vox populi, vox Dei. E chi dice che siamo nel girone grigio dell'anti-politica, che peste o Termini in rotta, lo colga.


Raffaele Iannuzzi

venerdì 3 febbraio 2012

LO SCONTRINO NEL TABERNACOLO


  "Oggi in Italia si adora  un nuovo vitello d'oro, chiamato "educazione fiscale".


Di Francesco Natale
 

Indipendentemente dalla valutazioni etiche in materia di evasione fiscale dobbiamo amaramente prendere atto di una realtà: in Italia si adora un nuovo vitello d'oro, chiamato "educazione fiscale".

Partiamo dai fatti: il giovane Alessandro Rimassa, ha denunciato alla Guardia di Finanza un panettiere milanese reo di avere sistematicamente violato l'obbligo di rilasciare lo scontrino fiscale ad una torma di avventori notturni. La notizia, studiatamente diffusa, ha destato scalpore: dal TG3 a Matrix il giovane coautore di "Generazione mille Euro" ha ricevuto l'oro, l'incenso e la mirra di tutti i commentatori che lo hanno indicato come modello esemplare di "virtù civica", nonché l'applauso spellamani dei 12.000 ierofanti che hanno sottoscritto la sua pagina FB "Io denuncio. E tu?". Rimassa ha parlato senza peli sulla lingua, facendo ovviamente understatement come strategia all'uopo richiede e sostenendo al contempo l'obbligo morale alla delazione, anche anonima, visto che la legge consente di omettere le proprie generalità in caso di "civica" denuncia del reato che oggi non è più semplice fattispecie criminosa prevista dal codice penale, ma ha assunto connotazioni metafisiche che la fanno assurgere al rango di lesa divina maestà.

Ora, non mi interessa qui discettare sulla maggiore o minore giustificabilità dell'evasione fiscale o sull'obbligo/dovere di obbedire al nuovo comandamento che impone la delazione, quanto più riflettere, serenamente e severamente, sulla implicita contraddizione oltre i limiti del paradosso che il nuovo modello di "educazione fiscale" conculca.

Questa la considerazione preliminare: nella panetteria oggetto di "auto da fè" alle 4.11 del mattino si trovavano circa 80 ragazzi, come in ogni panetteria di grande città di tutto il paese. Ragazzi che avevano trascorso la serata in discoteca, a cena a casa di amici, ad un rave party, ad un concerto fuori porta o, più semplicemente, a cazzeggiare in giro fino all'alba.

Chi ha dimestichezza col mondo della notte (e il sottoscritto vive a cicli invertiti...) o comunque ha una vita sociale dinamica e variegata sa perfettamente dove, quando e come procurarsi sostanze psicotrope.

Attenzione: non sto in alcun modo postulando che i suddetti ragazzi, Rimassa compreso, facciano uso o abbiano mai fatto uso di stupefacenti, bensì che statisticamente almeno la metà di loro possa avere cognizione netta di luoghi e persone preposti alla distribuzione delle medesime.

E a questo punto sarei curioso di sapere se il principio di delazione risulta essere omnicomprensivo e assorbente oppure dotato di unidirezionale specificità per quanto concerne i reati fiscali.

Temo purtroppo che sia più veritiera la seconda ipotesi.

Questo per tre distinte ragioni di crescente ordine di gravità: la prima di carattere eminentemente tecnico-giuridico, poiché non è possibile avvalersi di uno "sportello amico" o di un sito come www.evasione.it per denunciare uno spacciatore, poiché la legge impone denunce circoscritte e sostanziate da elementi probatori oggettivi ( spesso e volentieri non basta nemmeno la cosiddetta "pistola fumante" a causa di una disciplina penalistica farraginosa e contraddittoria che si maschera dietro allo schermo ipocrita della "percentuale di principio attivo") tutti tesi a disincentivare la delazione.

La seconda ragione inerisce alla paura e ad un distorto senso dell'autoconservazione: è prassi educativa diffusa, anche se grazie a Dio non universale, insegnare fin dalla più tenera età al fantolino che bisogna farsi i fatti propri, voltarsi dall'altra parte, tirare innanzi e non immischiarsi nelle faccende altrui, soprattutto se tali faccende riguardano il "milieu" che ruota attorno allo spaccio. Ora, se ciò serve come deterrente acciocché i nostri adolescenti stiano lontani sempre, comunque e ancora sempre dalla realtà della droga, ben venga. Ma troppo spesso questo approccio educativo produce il solo risultato di allevare omertosi potenziali che neppure sono coscienti di tollerare, giorno dopo giorno, l'intollerabile, complice anche un sistema scolastico che, avendo sostituito i sani programmi di una volta con i "POF" (acronimo che per onomatopea ricorda molto da vicino una deiezione bovina...), ovvero il "piano dell'offerta formativa", demolisce quel poco di apparato critico che può essere sopravvissuto alla debellatio famigliare. Quanto alla paura, è ovvio che denunciare uno spacciatore comporta una assunzione di rischio personale notevole, mentre risulta sostanzialmente innocuo denunciare un panettiere, fatto salvo il caso di molitori particolarmente nerboruti e poco inclini all'empatia.

Ma è la terza ragione quella in assoluto più grave e indice di una disgregazione del tessuto sociale spaventosa ed inarrestabile: se oggi la mancata emissione dello scontrino fiscale implica la massima riprovazione sociale possibile, l'esser marchiati a fuoco come parassiti e come principali responsabili dello sfacelo dei conti pubblici, esimendo al contempo da ogni responsabilità quanti hanno effettivamente generato ciclopici buchi di bilancio nella finanza pubblica, d'altro canto la droga viene percepita come fenomeno nel migliore dei casi inevitabile, nel peggiore come socialmente accettabile o, addirittura, socialmente promozionale.

I dati, per quanto incompleti, parlano chiaro: nella sola città di Milano si stima che vengano quotidianamente consumate 10.000 dosi di cocaina, a fronte di zero denunce spontanee. E proprio in questo sta la maggior forza del demi-monde degli spacciatori: non nella paura, non tanto e non solo nell'omertà diffusa quanto più nell'asepsi morale che affligge tanti giovani e meno giovani che cominciano col "farsi i fatti propri" e, magari, a fronte di una realtà che, se non formalmente, sostanzialmente promuove come perfettamente accettabile una determinata abitudine finiscono col concedersi, di tanto in tanto, un "tiramisù".

Eppure, sotto sotto, questo stato di perenne contraddittorietà viene percepito e genera, come è ovvio, scompensi e disagi psicologici, soprattutto nelle menti più fragili: scompensi e disagi per i quali è necessario trovare una cura, un rimedio che, a fronte di diuturni peccati omissivi ci consenta di resuscitare almeno una parvenza di dignità. Di fronte a noi stessi e, soprattutto, di fronte agli altri.

Pronti, eccoci qua: basta deificare il contributo fiscale e mettere lo scontrino nel Tabernacolo per poi prostrarsi in estatica adorazione.

Ogni peccato viene così mondato e, col petto gonfio di vuota "virtù civica" possiamo sentirci pure un pochino "eroi", e fingere così che il mondo attorno a noi non stia continuando a sfasciarsi. Pezzo dopo pezzo.

martedì 24 gennaio 2012

EROI NON PER CASO

Di Raffaele Iannuzzi

"Molto si è detto sul caso Schettino e sul caso De Falco. Due uomini, due paradigmi di comportamento umano. Codardo e fellone, il primo; coraggioso, forte, il secondo. Inutile insistere e rendere ancora più insopportabilmente nauseante la realtà dei fatti"

L’audio scioccante della telefonata del capitano Gregorio Maria De Falco all’ormai famigerato comandante Francesco Schettino è entrato nella galleria dei generi letterari. Anzi, dei generi della narrazione contemporanea, delle piazze globali contemporanee, così cariche di orrori, errori e devastazione morale. Molto si è detto sul caso Schettino e sul caso De Falco. Due uomini, due paradigmi di comportamento umano. Codardo e fellone, il primo; coraggioso, forte, il secondo. Inutile insistere e rendere ancora più insopportabilmente nauseante la realtà dei fatti. Le chiacchiere stanno a zero, come si dice a Roma. Parlano i fatti. Quel che colpisce, piuttosto, è un’osservazione della moglie del capitano De Falco, Raffaella. Quest’ultima si è stupita del fatto che il semplice adempimento del dovere da parte di un ufficiale induca le persone e i mass media a considerare un eroe tale ufficiale. “Questo non è normale”. Infatti, non è “normale”. Perché la “normalità” è un concetto di ordine statistico, che fa la tara e la media tra il più e il meno, l’alto e il basso, dopodiché produce un dato medio, che schiaccia verso il basso ciò che sta sopra, e innalza verso l’alto ciò che sta sotto, quel tanto che basta per livellare. Ma in questo caso non ci sono livelli in gioco. Neanche umani. C’è la differenza fondamentale tra chi segue la sua vocazione fino in fondo – “soccorrere”, ha affermato seccamente, De Falco – e chi la tradisce fino al fondo dell’abisso. Sì, certo, c’è uno Schettino in ciascuno di noi, è stato osservato correttamente. Ma questo non spiega e non descrive niente. E’ quel “quid pluris” tra De Falco e Schettino che rende l’uomo “poco meno degli angeli” e “coronato di gloria e onore”, come recita il salmo 8. E’ la storia a scegliere i suoi eroi e gli uomini che seguono la propria vocazione fino in fondo, coloro che sono trascinati da un dàimon interiore, che abita la propria anima, non si tirano indietro. E’ l’umiltà a non far pronunciare loro la parola “eroe”, ma l’umiltà, come diceva Santa Teresa di Lisieux, è la verità. La verità di sé. Quando De Falco mette in gioco – come ha ripetutamente fatto – la categoria di “vocazione”, in realtà, va ben oltre la dimensione espressiva dell’eroismo, si nutre di anima generativa e compassionevole. Non c’è niente di “normale” in questa posizione, è vero, ma. Nello stesso tempo, è nel “normale” compimento del proprio dovere l’inveramento di questa assai poco “normale” dimensione. Paradossale ed energicamente votato a permanere nella memoria. Un capitano che soccorre davvero gli uomini in difficoltà prende il comando. “Sono io che prendo il comando”, ha ingiunto il capitano De Falco al comandante Schettino. Comanda chi segue la propria vocazione fino in fondo. E’ capo chi governa la barca, la nave e la propria vita. E’ capo chi ha una fede da vivere e difendere, principi da salvare, uomini da amare. Tutto qua. E’ questa la differenza ontologica tra De Falco e Schettino. La Bibbia presenta tipi umani con differenze radicali, ben sapendo che, sopra di loro, c’è il Dio “amante della vita”, che tutto giudica e “fa piovere sui giusti e gli iniqui”. Ciononostante, Erode rimane Erode e David rimane David. E’ tutto chiaro. Abbiamo formato un paio di generazioni di codardi, oggi paghiamo il prezzo di questo misfatto. Nel nichilismo, si dimentica l’origine dell’aggettivo qualificativo “codardo”: e’ detto del falco cacciatore che tiene la coda bassa. Troppo bassa. “Lei ha dichiarato l’abbandono nave, adesso comando io! Salga a bordo, cazzo!”. Ecco il punto di svolta: uno abbandona, l’altro comanda, perché segue un altro criterio, un altro ordine ontologico, spirituale, morale. “E’ buio”, sibila pateticamente Schettino. Replica De Falco: “E che vuole tornare a casa. Schettino, perché è buio, vuole tornare a casa?!”. Ma non può tornare a casa, perché l’anima vagante casa non ha. Non è un sigillo naturale, è la risposta ad un appello. Sono le risposte a cambiare perfino lo spessore delle domande. Oggi, forse, molti più uomini di ieri si domanderanno come sia stato possibile giungere fino al punto limite di questo disastro. La risposta è nell’eccesso di “normalità” priva di risposta del cuore. Ad un appello che viene dall’alto.


sabato 21 gennaio 2012

LESBOINGEGNERIA

Di Raffaele Iannuzzi

"la libertà, inesistente senza il fondamento naturale della vera identità del singolo, salta. In un mondo così cinicamente invaso dalla retorica sulla “libertà”


Due mamme americane e lesbiche, Pauline Moreno e Debra Lobel, hanno adottato un bimbo, Tommy. Tommy da tre anni prende ormoni, che gli bloccano la crescita sessuale, così da poter scegliere, all’età giusta (quale?), la sua identità sessuale. Già, perché le due donne, sposatesi in sinagoga nel 1990, hanno già capito e deciso tutto: Tommy – oggi chiamato Tammy – voleva diventare donna. Le sue crisi e i suoi turbamenti psichici – tanto gravi da essere diagnosticati come GID – Gender Identity Disorder – derivano dal fatto che, come uomo, proprio non ci sta, non sono i suoi panni, come accade con un abito o troppo stretto o troppo largo, ci vuole, dunque, la “giusta” misura. E chi può decidere la “giusta” misura dell’identità sessuale di un bambino? Intanto, le due zelanti mamme lesbiche ebree progressiste, che hanno già tracciato la personalissima filosofia della storia del povero bambino – bambina in nuce, a loro insindacabile giudizio – e, a scanso di difficoltà ulteriori, gli si blocca violentemente la crescita sessuale. Perché? Ma perché la crescita sessuale è schifosamente naturale, dunque contraria all’ideologia del pensiero unico lesbico-omosex, per il quale chiunque non può trovare comodo l’assetto naturale del suo essere individuale, “deve” per forza voler essere altro. Poi che le crisi derivino proprio dal fatto che il transgender è un capestro che rompe il collo e strozza il fiato del vivere appunto naturale (stavolta senza virgolette) di una giovane creatura, per carità, neanche a pensarci. Insomma, alla fine, hanno sempre ragione loro e ciò al di là delle ragioni razionalmente declinate e del puro buon senso, della realtà, della tradizione umana, laica, perfino agnostica, atea, non credente. Un sentiero – oggi interrotto – che ha posto le basi del retto pensiero: anche per un materialista novecentesco, un uomo era un uomo e una donna una donna. Oggi no, perché dentro il cuore dell’ideologia lesbico-transgender c’è un qualcosa di più che proviene dal maligno, da Satana, tanto per essere chiari: siamo oltre l’evangelico “sì, sì, no, no, il di più viene dal maligno”. E, infatti, domina il pensiero maligno della de-formazione dei fatti nudi e crudi, della realtà come tale, la più semplice, immediata, evidente. Come il diavolo è la scimmia di Dio, questa poltiglia grigiastra e pestifera somiglia alla libertà – per un certo numero, assai ristretto di persone, dunque la solita minoranza aggressiva e agguerrita -, ma, in realtà, è il totalitarismo più smaccato. Qual è il fulcro del totalitarismo? Quello già presente in Hobbes, poi rideclinato nel comunismo e nel nazismo: la realtà è artificio. Il Leviatano è, per Hobbes, “deus mortalis”, il dio mortale, la divinità alla quale soggiacere; e questo meccanismo statuale e coattivo, inscritto in una morsa meccanicistica, fatta di molle e ingranaggi, usa le persone per un progetto superiore che solo pochi eletti possono conoscere. Tommy non sa chi sia Hobbes, ma sa perfettamente chi siano le due poliziotte lesbiche che gli stanno addosso da anni, dunque è come se conoscesse a menadito la faccenda. È la stessa cosa. Pauline e Debra hanno un progetto su Tommy – anzi, su Tammy – e sanno già a priori ciò che è giusto e sbagliato per lui. Non sono affatto relativiste, relativizzano l’assoluto naturale – nel senso di ab-solutus, sciolto da ogni altra valutazione ideologica preconcetta: o si è maschi o femmine – per sostituirlo con la loro ideologia. Che poi il bambino stia male e domani sia un poveraccio o una poveraccia senza volto e profilo identitario, poco importa: è la tensione al “bene” del male che ho scelto di inverare che conta. Così, il nazismo ha imposto il nichilismo pagano sulla società tedesca; così, Stalin si è inventato lo strumento dei piani quinquennali, trasformando la tradizionale società russa in un laboratorio della rivoluzione sovietica. Lo Stato decide l’identità dei popoli e la natura degli individui. Al sesso ci pensano le mamme lesbiche. Ma il meccanismo demonicamente totalitario è lo stesso. Mentre la libertà, inesistente senza il fondamento naturale della vera identità del singolo, salta. In un mondo così cinicamente invaso dalla retorica sulla “libertà”.