giovedì 22 dicembre 2011

C'ERA UNA VOLTA UN GOVERNO POLITICO...

di Gianteo Bordero

La politica, disse una volta Rino Formica, è “sangue e merda”. Oggi gli chef del pensiero unico montiano ce la vorrebbero servire nel piatto fredda, scipita e ipocalorica. Ma così non è più politica: è una pessima sbobba che non nutre la vita di una nazione.

C’era una volta un governo politico espressione della volontà (e della sovranità) popolare. C’era una volta… e adesso non c’è più. Ora ci sono loro, i cosiddetti “tecnici”, modestamente autoproclamatisi “salvatori dell’Italia” per decreto. Salvatori della patria, perché “la politica non ce la faceva proprio”, “non si è dimostrata all’altezza”, “doveva farsi da parte”, come per giorni e settimane e mesi ci hanno ripetuto senza posa gli opinion makers de noantri, gente invero adusa ad obbedir tacendo e a inchinarsi al padrone di turno piuttosto che a raccontare la realtà per quella che è. E la realtà, appunto, è che un esecutivo (valoroso o bislacco sta a ciascun dirlo) voluto dalla maggioranza degli italiani nel segreto dell’urna è stato spazzato via per essere sostituito da ministri, viceministri e sottosegretari che nessuno, dicasi nessuno, aveva mai votato e, in qualche caso, neppure sentito nominare per caso.

Forse, anzi certamente, siamo affetti dal più becero populismo, e siamo ancora nostalgicamente legati (ahinoi, al cuore non si comanda!) alla vecchia idea su cui si reggono tutte le grandi democrazie parlamentari, in cui il governo è espressione della maggioranza uscita vincitrice dalla competizione elettorale.

Per fortuna, però, a smentire questo nostro populismo ci pensa, come al solito con viva apprensione, il presidente della Repubblica, il quale non si stanca di ripetere che la Costituzione italiana prevede che un esecutivo possa essere nominato dal capo dello Stato senza essere stato votato da nessuno. Ha ragione da vendere, il nostro caro Giorgio: il Sacro Testo quello dice, e quello si fa, anzi va fatto. Al diavolo tutti coloro che cianciano, sulle orme di Costantino Mortati, di “Costituzione materiale”. Al bando chi sostiene che, in seguito alla svolta del ’92-’94, con i referendum elettorali da un lato e con la nascita del bipolarismo dall’altro, ha di fatto visto la luce l’elezione diretta del premier (pardon, del presidente del Consiglio). Meglio poggiarsi sulla cara vecchia Carta, meglio affidarsi all’usato sicuro, riportando in auge la gloriosa prassi dei governi a maggioranza casuale e variabile, fondata su partiti che in campagna elettorale avevano proposto idee e programmi antitetici ma che, richiamati saggiamente dall’alto Colle al senso di responsabilità, disarmano e collaborano insieme al mitico “bene comune della nazione”, mettendo da parte quella brutta cosa che è la dialettica, quel duello tra visioni, proposte e progetti di cui, da che mondo è mondo, si nutrono le democrazie.

Perché - ragionano gli uomini d’illuminato senso istituzionale - se la politica è "scontro perenne", se è "la prosecuzione della guerra con altri mezzi", allora a morte la politica: meglio un governo tecnico “per la pace perpetua”. In primis per la pace dei sensi, anche del palato forse un po’ contadino di noialtri che ancora ci appassioniamo a quella strana ma nobile cosa che la Politica con la P maiuscola è – o dovrebbe essere.

La politica, disse una volta il grande Rino Formica, è “sangue e merda”. Oggi gli chef del pensiero unico montiano ce la vorrebbero servire nel piatto fredda, scipita e ipocalorica. Ma una politica disincarnata, sciolta dalla storia e dalla vita concreta dei popoli, non è più politica: è una pessima sbobba che non nutre, non può nutrire l’intelligenza e i cuori, e che, lungi dal “salvare” una nazione, ne prepara invece la dissoluzione per via depressiva.  

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