giovedì 22 dicembre 2011

LA STRETTA DELL'EUROCRAZIA SULLE DEMOCRAZIE


di Savonarola

Il cappio dell'Eurocrazia e il disegno che si compie. La tecnocrazia europea lancia l'Opa sulla democrazia dei popoli. Urge una rivoluzione democratica e costituzionale.

È vero: l'Italia è sull'orlo del baratro. Ma non nell'accezione utilizzata poco responsabilmente dal presidente degli industriali Marcegaglia e da altri capitani di ventura del capitalismo italiano e dagli uffici studi che snocciolano numeri e statistiche amorfe. Lo è invece dal punto di vista della sua sovranità politica e democratica.  Se si riesce a guardare in filigrana tutto lo sviluppo degli eventi dal fatidico 5 agosto 2011 ad oggi, si ricava la percezione di un disegno preciso, chiaro e inesorabile, la cui origine è l'ormai celebre lettera del banchiere Mario Draghi, e il cui esito è il volto di Mario Monti e la sua designazione coatta a presidente del Consiglio. A dire il vero, la stretta da parte delle tecnocrazia europea sulla nostra sovranità da qualche giorno è percepibile materialmente anche nelle corpose delegazioni di zelanti funzionari della Bce e del Fmi avvistati nelle sedi del nostro Tesoro, ufficialmente per certificare i nostri bilanci, sostanzialmente per iniziare il commissariamento.

Se però riavvolgiamo il nastro, appare evidente come dietro la favoletta della mancata credibilità di Berlusconi ci sia in realtà il disegno preciso delle grandi lobbies finanziarie mondiali di indirizzare le scelte di tutti i governi europei. La speculazione, nel cui ventre torbido le banche d'affari (Goldman  Sachs in prima fila)  e le consorterie private giocano un ruolo volto alla ricerca demoniaca del profitto, aveva fiutato il sangue già dall'incertezza del direttorio europeo sulla bolla greca e in pochi mesi, approfittando dell'impasse politica dell'Unione e anche della contingenza che vede molti dei governi in carica in fase pre-elettorale,  ha portato un attacco veemente ai sistemi democratici, puntando prima la Spagna e poi l'Italia. La Bce ha avallato questa spirale perché Francoforte, come massima istituzionalizzazione della governance tecnocratica, ha visto nella crisi la possibilità di commissariare i governi democratici e lanciare una sorta di governo degli ottimati sovrannazionale. La regia di Draghi, la designazione di personalità come Papademos in Grecia e Mario Monti in Italia, certificano chiaramente l'esondazione sul terreno istituzionale di circoli illuminati come la Commissione Trilaterale e il Club Bilderberg, consessi in cui questi super tecnici hanno rivestito un ruolo organico e strategico. 

Eppure, dinnanzi a questa invadenza dell'Eurocrazia, il "prego si accomodi" delle democrazie nazionali più deboli non ha fatto che peggiorare la situazione. E d'altra parte aumentano le recriminazioni per una resa troppo prematura. Ma Berlusconi è responsabile di questo fallimento quanto i suoi killers, perché ha cannibalizzato la sua epopea politica in un languido giro di valzer degli equivoci e nella beatificazione del superfluo tatticismo, prestando il fianco, proprio come il decadente impero romano, all'invasione falciatrice dei barbari. Anziché visione lunga e strategica, passo breve e tirare a campare con una pletorica corte di cerimonieri grigi a consigliargli la via dell'amministrazione controllata, quando invece c'era l'impellenza di rovesciare il tavolo. Altra cosa Sarkò, che resiste, fa l'impertinente della sovranità, fa il one man show e pensa "l'Etat c'est moi" quando, per sventare il declassamento, minaccia di annientare il mercimonio scommettitore delle agenzie di rating, altro cancro, altro buco nero del mercatismo finanziario globale. Di altra pasta Frau Merkel, che assicura gli interessi dei panzer e le esportazioni dell'industria pesante di Stato. Per carità, legittima tutela di interessi di sovranità assediate ma ancora forti al gioco della "realpolitik", ancora decisamente vive.   

Noi no, noi siamo democraticamente sospesi, sul ciglio del burrone, politico e sociale. E del resto, come insegnava il susseguirsi drammatico di manovre di risanamento e di tagli sociali imposte alla Grecia, l'avallo degli esecutivi alle indicazioni di Bruxelles non produrrà alcun miglioramento sulla tenuta né tantomeno rassicurerà i mercati e l'orgia speculativa degli spread. Unico risultato: la progressiva stretta, dopo aver avvinghiato i governi democratici, asfissierà le economie sino al loro sfinimento e, forse vero obiettivo delle consorterie tecnocratiche, aumenteranno esponenzialmente i costi sociali, prevedendo un ulteriore  depauperamento dei ceti popolari con misure iper liberiste su welfare e pensioni. Sino all'annichilimento del suicidio, un dato che è triplicato in terra ellenica e di cui anche in Italia le cronache iniziano a raccontare. 

Resa prematura della politica, soprattutto se si pensa che le munizioni dottrinarie esistono e sono in grado di sparare.  Sono ormai molteplici le analisi di fior di economisti indipendenti, da Krugman a Fitoussi, da Deaglio a Quadro Curzio,  e sinanche a Guido Tabellini, per i quali basterebbe che la Bce operasse in via definitiva come prestatore di ultima istanza per garantire i debiti sovrani sul modello adottato dalla Fed e dalla Banca d'Inghiterra,  che assicurano il consolidamento di passivi ben più rilevanti dei nostri.  Fitoussi dice e scrive: austerità è una parola che vuol dire deprivazione, che significa devastazione di tessuto sociale, che come un poderoso tagliaerba rade tutto al suolo senza badare ai particolari - e poi in questo caso i particolari sono le persone, le vite. 

Ma di fronte a questo scenario nefasto e all'Opa ostile lanciata contro i popoli dalla tecnocrazia europea c'è una possibile via d'uscita. C'è un modo per trasformare la crisi di sovranità in opportunità, ed è quello di varare una poderosa rivoluzione democratica e costituzionale su un doppio binario nazionale e sovrannazionale. In Italia, deliziosa preda dei cannibali finanziari ancorché dotata di un antistorico regime parlamentarista con esecutivo pressoché impotente, si deve indifferibilmente varare la grande riforma immaginata da Craxi, in questo statista pan-politico, con un modello presidenziale o semipresidenziale investito dal carisma democratico dell'elezione diretta senza intermediazioni pelose.  In via parallela occorre accelerare  la nuova architettura politica dell'Unione e legare questo processo alla democratizzazione delle istituzioni europee, arrivando al traguardo dell'elezione diretta dei massimi vertici della Commissione e del Consiglio europeo. I popoli europei sarebbero così in grado di scegliere e sanzionare il leader e l'esecutivo dell'Unione  sulla base di un programma e su un'idea idea di Europa, con una nuova consapevolezza sulle decisioni che ormai li riguardano direttamente. D'altra parte le istituzioni elette e legittimate in via democratica avrebbero la forza occorrente per resistere alle pressioni e alle invadenze della tecnocrazia e dei circoli d'affari, capovolgendo il rapporto che oggi prevede che portatori di interessi e lobbies prevalgano sui mandati di rappresentanza. Soluzione a cui dopo tanta inerzia sono arrivati persino i governanti dell'Eurozona. Van Rompuy, presidente nominato del Consiglio europeo, ha infatti scoperto che "senza una reazione dell'Europa i mercati non si placano" e che "è necessaria una modifica dei Trattati per renderla solida e stabile". In buona sostanza, basta fare i lacchè della finanza inseguendo il placet dei mercati. La politica torni a fare la politica, a questo punto anche con una sacra rivoluzione democratica. Rovesciare il tavolo è ancora possibile.

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