martedì 28 febbraio 2012

MASSA E VIOLENZA

Il concetto di "massa critica" è tra i più frequentati dalla sociologia e dalla politica, soprattutto di sinistra. Cosa vuol dire "massa critica"? Ripariamo, come spesso accade, su Wikipedia: "Massa critica indica in generale una soglia quantitativa minima oltre la quale si ottiene un mutamento qualitativo". Tradotto: se accadono un numero tot di fenomeni, valutabili come il minimo sindacale di una catena di situazioni complesse e addirittura complicate, si arriva a determinare un mutamento di prospettiva generale, di mentalità collettiva e, dunque, di qualità. Qualcosa che non è soltanto da contare o quantificare ma che, in qualche modo, acquisisce vita propria, si muove da sé, è autonomo.
Ecco, in Italia, questo fenomeno ha un nome: terrorismo. E si è determinato anche per la stratificazione di fenomeni, ad uno ad uno non inscrivibili in un sistema, magari, ma, presi tutti insieme, decisamente influenti sul piano sistemico. Tanto che non si può pensare e leggere la storia di questo Paese senza fare riferimento al terrorismo: da massa critica a Evento collettivo.
Premessa generale per dire che - attenzione - siamo ancora in questo circolo diabolico. I residui di questa fenomenologia non solo violenta, ma ancor più violentatrice sul piano ideologico, sono davanti a noi: il sindaco di Milano ha un capo di gabinetto coinvolto in gravi azioni eversive nel 1977; un'altra dipendente dello stesso Pisapia, processata come brigatista, promossa sul campo (istituzionale). E' una realtà che vorremmo consegnare all'acribia di assai istituzionali archivisti, ma che l'evidenza dei fatti non ci consente di fare. E' la lunga scia di quella massa critica divenuta mentalità collettiva e oggi coinvolgente l'inconscio collettivo. Né è tutto.
Pensiamo alle manifestazioni no-Tav. Ancora oggi Cremaschi della Fiom parla di qualche "testa matta" nel paniere di gente perbene che manifesterebbe occupando "semplicemente" spazi non banali di demanio pubblico, strade, salendo su tralicci, magari con qualche reminiscenza legata alle imprese di Feltrinelli (appunto: la memoria della massa critica ormai divenuta autonoma). Il movimento no-Tav è molto gettonato e dunque inquinato da terroristi e antagonisti che non ci pensano due volte a menare le mani contro i poliziotti. Un inquinamento derivante da quella lunga storia e da quella lunga scia di massa critica divenuta infine realtà autonoma, immaginario unico e dominante di eversione, ad uso e consumo di chiunque voglia bloccare imprese modernizzatrici, riforme e altro di anche solo lontanamente ravvicinabile alla politica. Siamo ancora nel '900, in questo Paese. Non solo nella base antagonistica, ma anche nelle alte sfere delle istituzioni e dei sindacati. Dunque, un movimento reazionario contro la nuova massa critica del XXI° secolo, che non è soltanto globalizzazione, ma anche - e forse soprattutto - nuovo capitalismo generato dal talento e dalle risorse individuali e personali. Una sorta di "intelletto generale" generato dal potere degli individui, in un mondo, certo, pieno di contraddizioni sistemiche. Ma un altro mondo. Con un'altra massa critica. Che ognuno si tenga la propria, di massa critica. Ma quella nuova non produce blocchi e sangue, ma sacrifici, questo sì, e, insieme ad essi, chances di vita. altrimenti, non c'è davvero partita.


Raffaele Iannuzzi

giovedì 16 febbraio 2012

DE MAGISTRIS E LA DEMOLIZIONE DELL'EPOS


 Di Francesco Natale


"Abbiamo consentito che i nuovi "maestri del pensiero", da Corrado Augias ad Eugenio Scalfari passando per Paolo Flores d'Arcais e Hans Kung demolissero, con diuturna perseveranza, gli archetipi che, per loro stessa natura, stavano alla base della nostra civiltà occidentale"


Sono ancora fresche le immagini del tostissimo spot che Clint Eastwood ha girato per Chrysler in occasione del Superbowl, tutto mascella quadrata, voce di cartavetro e american dream a bizzeffe. Un uomo, un attore e un regista, Clint, che forse più di ogni altro incarna oggi l'immagine di quell'America "as it should be", ovvero "come dovrebbe essere".

E...da questa parte dell'Occidente a noi che cosa tocca?

Semplice: Luigi De Magistris che in un video di rarissima guapperia dà del "tu" ad Al Pacino, straparla di una Napoli digitale proiettata al futuro (quando riuscirà a digitalizzare la rumenta ne riparleremo...), e invita la grande star americana a presentare il suo ultimo film, "Wild Salomé" nella capitale partenopea.

Illuminante, tra le innumerevoli perle, il seguente passaggio: "(...) Comunico per la prima volta con te (Al Pacino -nda-) a una telecamera per manifestare il mio grandissimo apprezzamento per la tua storia di attore, per quello che hai fatto anche nell'impegno sociale e civile in tanti film, da Serpico, il Padrino, Scarface che è diventato per i criminali anche un modo, come dire, da seguire nelle ville della Camorra e che oggi invece lo Stato ha ripreso per farne dei beni confiscati destinati alla società".

Cosa avrà voluto dire quest'uomo e, soprattutto, cosa mai si aspetterà che capisca di questa ardita circonvoluzione linguistica l'amico Al?

Ora, nessuno pretende da un ex magistrato un contegno linguistico da cruscante, tuttavia questo, più che il Sindaco di Napoli, pare il Sindaco di Palomonte e Contursi Terme (qui il link per sapere di chi stiamo parlando: http://www.youtube.com/watch?v=iCMK2Njj9Es)

Materiale da (odiosissima, per carità) Gialappa's Band, insomma.

Ma al di là della sguaiata comicità involontaria, il "discorso" di De Magistris pone qualche non banale spunto di riflessione.

E' fisiologico, infatti, che un Sindaco cerchi di fare marketing iperbolico a favore della propria città, nulla da dire.

Quello che colpisce qui, però, è l'insieme di "pilastri valoriali" a cui De Magistris fa riferimento: l'impegno sociale e civile, la Napoli cibernetica di Iksos (???), una "Napoli che ha il cuore rivolto al Sud del Mondo ma lo sguardo puntato a Nord" qualunque cosa ciò possa significare, una spruzzata di Camorra-ville-confisca che non guasta mai e il "crossroad" socio-culturale che, stando al signor Sindaco, caratterizza da sempre la sua città (che si sia confuso con la Istambul dei Litfiba?).

E' un chiarissimo (almeno questo...) richiamo agli odierni valori che connotano l'eroismo moderno, tutto fatto di "solidarietà", "tolleranza", "digitale", "multiculturale", "antimafia", "educazione fiscale", "accoglienza", verde speranza, giallo canarino e rosso fuoco. Parole di nebbia, insomma: prive di qualsivoglia significato concreto, ovvero aderente alla Realtà, ma che sono in grado di affabulare immediatamente una platea dall'encefalo bollito e salmistrato ormai inossidabilmente convinta che la semplice parola, soprattutto se pronunciata da cotanto oratore, abbia capacità demiurgiche, ovvero basti da sola a modificare come per magia la Realtà fattuale.

Questo è il dato più preoccupante: dopo il Gottverdammerung, ovvero la disintegrazione degli archetipi tradizionali, e con l'avvento del "gandhismo" (che è roba ben diversa rispetto a Gandhi), ecco l'alba della nuova generazione di eroi: Gino Strada, i delatori fiscali, Rigoberta Menchu Tum, Vandana Shiva, Ward Churchill, Eddie Vedder, Sinead O'Connor e altro ciarpame del genere.

Il fenomeno è presto spiegabile: esiste da parte dell'individuo una necessità latente di identificazione con qualcosa che sia "altro" da sé e "migliore" del sé, la qual cosa non implica necessariamente un complesso di inferiorità o l'insoddisfazione caratteristica del maniaco depressivo, quanto più la scelta di un modello positivo da seguire.

E'esattamente in quest'ambito di autoricerca che rileviamo gli effetti più devastanti del positivismo, qui inteso come materialismo puro volto alla demolizione del mito, cioè dell'epos: abbiamo consentito che Bernardo di Chiaravalle venisse degradato al rango di squadrista xenofobo, che San Giorgio venisse considerato un pericoloso nemico dell'ambiente vista la strage di rettili di cui si è reso responsabile, che Capitan America fosse bollato come alfiere dello sciovinismo imperialista statunitense, che Artù venisse ricordato solo come gran cornuto e, al contempo, che Lancillotto divenisse portabandiera del libero amore in libero regno (con buona pace di Chretienne de Troyes...), che i Saxon fossero chiamati porci fascisti perché hanno pubblicato nel 1984 un disco (bellissimo, per altro) intitolato profeticamente "Crusader". Ultimo ma non ultimo, abbiamo pure consentito che quel saltafossi tristanzuolo di Francesco Nuti profanasse uno (tra i tanti) vertici della nostra eccelsa letteratura, ovvero Pinocchio.

Abbiamo, in una parola, consentito che i nuovi "maestri del pensiero", da Corrado Augias ad Eugenio Scalfari passando per Paolo Flores d'Arcais e Hans Kung demolissero, con diuturna perseveranza, gli archetipi che, per loro stessa natura, stavano alla base della nostra civiltà occidentale.

Ma la necessità di identificazione connaturata alla nostra condizione umana non è scomparsa e, anzi, continua ad invocare prepotentemente modelli di ispirazione: solo che oggi, non paghi di aver sostituito Dio con la "costituzione", abbiamo pure permutato Prince Valiant e Tex con la raccolta differenziata e la "solidarietà", perdendoci, e pesantemente, nel cambio.

Forse è anche per questo che ancora oggi qualcuno guarda speranzoso all'America: un paese che, nonostante i tanti mutamenti e gli innumerevoli passi falsi difende e conserva gelosamente la propria storia e le proprie tradizioni; un paese che forse dimenticherà presto Obama, ma che certamente ricorderà per sempre Clint Eastwood e Ronald Reagan.

E noi? Beh, noi siamo a posto: possiamo consolarci con "l'amico" di Al...


lunedì 13 febbraio 2012

IL FARISEO POLITICO

Giulio tremonti, ex-tutto del centrodestra, oggi nuovamente guru, con un libro dal titolo scopiazzato da Ignazio Silone (e il vecchio saggio Formica ha gioito di ciò...o tempora o mores...), "Uscita di sicurezza", ha letto con attenzione Toni Negri. Ha bacchettato l'antagonista Casarini davanti ad un Santoro basito a dir poco, con un "ma l'hai letto "Empire" di Toni Negri?". Il fariseo all'attacco come ogni fariseo: fuori tempo massimo. Ma Negri esiste e parla, ascoltatelo in questo video esilarante per livello di banalità e pressapochismo; leggete poi Christian Marazzi e le sue tesi sul "comunismo finanziario" (più solide di quelle di Negri) e ditemi poi che c'entra tutto questo con il "fascismo finanziario". Il fascismo salvò l'Italia con l'Iri, sbertucciando la finanza che mandava al suicidio i manager americani, dopodiché dettò l'agenda politica anche a Roosevelt e al suo New Deal, il più grande progetto leviatanico della storia, non dissimile dal nazismo e dal comunismo, per molti aspetti. Il New Deal piace molto anche a Tremonti, non so se mi spiego...
L'unica luce di quell'imbarazzante piece teatrale a cui abbiamo assistito - il Tremonti fan di Negri - ha preso la forma pacata e acuta di un esponente del Tea Party, che ha fatto le pulci come si deve all'ex ministro dell'economia di centrodestra e creatore di Equitalia. Leggete - ha suggerito l'amico del Tea Party - "Lo stato criminogeno" di Tremonti, quello sì era un libro, poi contraddetto punto per punto dal più criminogeno ministro della cosiddetta Seconda Repubblica (ammesso e non concesso che sia mai esistita, per me no, pura e perniciosa fictio paracostituzionale e storico-ideologica). Perfetto. Mi fermo qui. Il resto lo capirete dalla visione del video di Negri e dal contesto nel quale egli discetta, da bravo fariseo anch'egli ex di un sacco di cose, come se sapesse e potesse, mentre, in realtà, non sa e non può. Tremonti sapeva, invece, e poteva. La montagna ha partorito il topolino. Allora, appropinquiamoci all'uscita di sicurezza, che Tremonti s'avvicina. Di nuovo.


Raffaele Iannuzzi

sabato 4 febbraio 2012

Deve fallire

"E poi dicono del commissariamento della Merkel! Che la Merkel ci commissaria! Magari! Domani, cazzo, ci commissariasse, almeno se levamo de torno 'sta mmerda...". Un cinquantenne di Tarquinia, un geometra, che lavora come tutti noi e, per lavoro, è costretto ad attraversare quella sottospecie di suburra che è diventata Roma, millantata come Capitale, al più un capitolo da chiudere o riaprire con un altro incipit, please. Incazzato, come tutti noi, avventurieri per un giorno, in una roma che ha deciso di fottersene, come sempre, dei cittadini e dei singoli, quietamente adùsa a pavoneggiarsi con gli algoritmi dello scaricabarile: Alemanno è riuscito perfino a dire - ahahah! - che "il meteo non l'aveva avvertito" (sic!). Quattro fiocchi di neve hanno letteralmente bloccato Roma. Due settimane di tamtam su 'sta roba del freddo, del gelo, delle truppe nordiche provenienti dalla Mongolia, con tanto di appendice letteraria sul mito del "generale inverno" e questo primo cittadino di una città millantata come Capitale ci viene a raccontare del gap tra meteo e centro strategico di soccorso, cazzate di questa natura. Morale della favola. Devo ritornare a Grosseto e prendo il solito regionale veloce; meglio: salgo sul treno, a Termini, dopo aver correttamente obliterato il biglietto; salgo in carrozza, mi metto comodo, oh! ce l'ho fatta, dopo un pò di ciac-ciac per Roma sono alfine giunto a destinazione, faccio in tempo ad ingoiare un bel panino, 3,50 euri, lo chiamano "Scilla", e subito mi accorgo di essere catapultato nella Cariddi dello svenimento della ragione: "Contrordine compagni viaggiatori! Si deve andare tutti a Ostiense, perché da qui non si parte; metro B, please, prego circolare...". Tutti in fila indiana come coglioni metropolitani all'addiaccio in direzione fottuta metro b, direzione Piramide, dove troveremo la stazione Ostiense dei miracoli ad accoglierci. Nel frattempo, facciamo in tempo, giunti colà a vedere in diretta un'oca che ha scambiato la carrozza della metro per il treno chiamato desiderio e, appiccicata alla borsa che ha infilato nella porta del treno della metro, per un pelo non si sfracella; certo, è riuscita a bloccare ogni operazione di sfollamento truppe verso Ostiense, facendo dilatare petto e cinturone ad un coglione di guardia giurata che provava a fare il Russel Crowe della situazione: "Ahò, nun ve preoccupate, nun toccate gnente, bboni...nun se pò annà più a Ostiense cò 'sta carozza, scennete...", in quello slang globalizzato che legittima chiunque a parlare un lemma non genitoriale solo perché così fan tutti, incluso il coglione di cui sopra. Alla fine, eccoci a Ostiense, binario 4, un freddo bestia, girandola di treni soppressi, un intercity direzione Ventimiglia a fare da mediano di spinta, soprattutto della speranza, e poco altro, il regionale veloce per Pisa era il sogno erotico di un pomeriggio di fine inverno, con il direttorio del nulla chiamato Ferrovie dello Stato a scortare con la voce chiamate deliranti di treni prima in vita, poi soppressi, infine resuscitati. Avanti-andré così, con gente che saliva su treni fantasma, arrivava a Termini, per poi scendere, e gente che, con il treno fermo a Termini, doveva raggiungere Ostiense per non meglio precisato motivi. L'immagine del caos italiota in diretta. Alla fine, dopo sei ore, sono giunto a Grosseto, con in testa un'idea fissa, da matto: l'Italia deve fallire. Sì, deve proprio andare giù come un sacco vuoto. Merita di fallire. Perché solo così gli uomini veri potranno farsi avanti e cancellare dal davanzale le comari di Montecitorio e del Comune più disastrato d'Italia, che polemizza con i capi della protezione civile, senza nessun numero per poterlo fare. non è vero che la politica - da noi amata visceralmente - sia tutto e che tutto possa reggere e giustificare. Così pensavano i comunisti, i fascisti e i nazisti; no, cazzo, non è così: giù tutto. Monti è un pezzo di questo sistema, ma non mi interessa in questo momento. Finché qualcosa ancora sarà retta da noi poveri coglioni che ci mettiamo sei ore per fare tragitti di 2 e mezza e poi dobbiamo arrenderci alla legittimazione indiretta del commissariamento tedesco, a cagione di tanto smembramento di ethos, civiltà e umanità, niente cambierà. Aveva ragione Miglio: giù tutto. E ciò non per impoliticità demagogica, ma per sottile senso politico. Il Comune di Roma ha qualcosa come 62mila dipendenti, in crescita esponenziale. Bene, un sindaco vero precetta 2mila di questi signori, muniti di pala, e giù a spalare neve, per aiutare i cittadini, secondo norme e statuti comunali, civici, umani. Come diceva Gaber: qui manca l'uomo, non c'è più l'uomo. Senza questo fattore - il Fattore P, come Persona -, tutto viene giù, e allora che vada giù. Se nessuno di lorsignori ha intenzione di dedicarsi alla res publica o di fare quanto coscienza e dovere richiederebbe, magari minacciando certificati di deficienze alla schiena o vattelapesca cosa, perché spalare è duro, ma fa bene all'anima e aiuta chi è in difficoltà - sto congetturando, anzi immaginando un'Italia che non c'è -, allora tutto crolla, e l'Urbe deve essere presa con la forza dai Lanzichenecchi, che, in fondo, sono già nel nostro umbratile immaginario, come testimonia il ruvido e intelligente geometra di Tarquinia, il quale, mentre ingoiava il fumo della sua Pall Mall, biascicava il vero: "Qui è tutto un casimo, te lo dico io, va tutto in vacca". Vox populi, vox Dei. E chi dice che siamo nel girone grigio dell'anti-politica, che peste o Termini in rotta, lo colga.


Raffaele Iannuzzi

venerdì 3 febbraio 2012

LO SCONTRINO NEL TABERNACOLO


  "Oggi in Italia si adora  un nuovo vitello d'oro, chiamato "educazione fiscale".


Di Francesco Natale
 

Indipendentemente dalla valutazioni etiche in materia di evasione fiscale dobbiamo amaramente prendere atto di una realtà: in Italia si adora un nuovo vitello d'oro, chiamato "educazione fiscale".

Partiamo dai fatti: il giovane Alessandro Rimassa, ha denunciato alla Guardia di Finanza un panettiere milanese reo di avere sistematicamente violato l'obbligo di rilasciare lo scontrino fiscale ad una torma di avventori notturni. La notizia, studiatamente diffusa, ha destato scalpore: dal TG3 a Matrix il giovane coautore di "Generazione mille Euro" ha ricevuto l'oro, l'incenso e la mirra di tutti i commentatori che lo hanno indicato come modello esemplare di "virtù civica", nonché l'applauso spellamani dei 12.000 ierofanti che hanno sottoscritto la sua pagina FB "Io denuncio. E tu?". Rimassa ha parlato senza peli sulla lingua, facendo ovviamente understatement come strategia all'uopo richiede e sostenendo al contempo l'obbligo morale alla delazione, anche anonima, visto che la legge consente di omettere le proprie generalità in caso di "civica" denuncia del reato che oggi non è più semplice fattispecie criminosa prevista dal codice penale, ma ha assunto connotazioni metafisiche che la fanno assurgere al rango di lesa divina maestà.

Ora, non mi interessa qui discettare sulla maggiore o minore giustificabilità dell'evasione fiscale o sull'obbligo/dovere di obbedire al nuovo comandamento che impone la delazione, quanto più riflettere, serenamente e severamente, sulla implicita contraddizione oltre i limiti del paradosso che il nuovo modello di "educazione fiscale" conculca.

Questa la considerazione preliminare: nella panetteria oggetto di "auto da fè" alle 4.11 del mattino si trovavano circa 80 ragazzi, come in ogni panetteria di grande città di tutto il paese. Ragazzi che avevano trascorso la serata in discoteca, a cena a casa di amici, ad un rave party, ad un concerto fuori porta o, più semplicemente, a cazzeggiare in giro fino all'alba.

Chi ha dimestichezza col mondo della notte (e il sottoscritto vive a cicli invertiti...) o comunque ha una vita sociale dinamica e variegata sa perfettamente dove, quando e come procurarsi sostanze psicotrope.

Attenzione: non sto in alcun modo postulando che i suddetti ragazzi, Rimassa compreso, facciano uso o abbiano mai fatto uso di stupefacenti, bensì che statisticamente almeno la metà di loro possa avere cognizione netta di luoghi e persone preposti alla distribuzione delle medesime.

E a questo punto sarei curioso di sapere se il principio di delazione risulta essere omnicomprensivo e assorbente oppure dotato di unidirezionale specificità per quanto concerne i reati fiscali.

Temo purtroppo che sia più veritiera la seconda ipotesi.

Questo per tre distinte ragioni di crescente ordine di gravità: la prima di carattere eminentemente tecnico-giuridico, poiché non è possibile avvalersi di uno "sportello amico" o di un sito come www.evasione.it per denunciare uno spacciatore, poiché la legge impone denunce circoscritte e sostanziate da elementi probatori oggettivi ( spesso e volentieri non basta nemmeno la cosiddetta "pistola fumante" a causa di una disciplina penalistica farraginosa e contraddittoria che si maschera dietro allo schermo ipocrita della "percentuale di principio attivo") tutti tesi a disincentivare la delazione.

La seconda ragione inerisce alla paura e ad un distorto senso dell'autoconservazione: è prassi educativa diffusa, anche se grazie a Dio non universale, insegnare fin dalla più tenera età al fantolino che bisogna farsi i fatti propri, voltarsi dall'altra parte, tirare innanzi e non immischiarsi nelle faccende altrui, soprattutto se tali faccende riguardano il "milieu" che ruota attorno allo spaccio. Ora, se ciò serve come deterrente acciocché i nostri adolescenti stiano lontani sempre, comunque e ancora sempre dalla realtà della droga, ben venga. Ma troppo spesso questo approccio educativo produce il solo risultato di allevare omertosi potenziali che neppure sono coscienti di tollerare, giorno dopo giorno, l'intollerabile, complice anche un sistema scolastico che, avendo sostituito i sani programmi di una volta con i "POF" (acronimo che per onomatopea ricorda molto da vicino una deiezione bovina...), ovvero il "piano dell'offerta formativa", demolisce quel poco di apparato critico che può essere sopravvissuto alla debellatio famigliare. Quanto alla paura, è ovvio che denunciare uno spacciatore comporta una assunzione di rischio personale notevole, mentre risulta sostanzialmente innocuo denunciare un panettiere, fatto salvo il caso di molitori particolarmente nerboruti e poco inclini all'empatia.

Ma è la terza ragione quella in assoluto più grave e indice di una disgregazione del tessuto sociale spaventosa ed inarrestabile: se oggi la mancata emissione dello scontrino fiscale implica la massima riprovazione sociale possibile, l'esser marchiati a fuoco come parassiti e come principali responsabili dello sfacelo dei conti pubblici, esimendo al contempo da ogni responsabilità quanti hanno effettivamente generato ciclopici buchi di bilancio nella finanza pubblica, d'altro canto la droga viene percepita come fenomeno nel migliore dei casi inevitabile, nel peggiore come socialmente accettabile o, addirittura, socialmente promozionale.

I dati, per quanto incompleti, parlano chiaro: nella sola città di Milano si stima che vengano quotidianamente consumate 10.000 dosi di cocaina, a fronte di zero denunce spontanee. E proprio in questo sta la maggior forza del demi-monde degli spacciatori: non nella paura, non tanto e non solo nell'omertà diffusa quanto più nell'asepsi morale che affligge tanti giovani e meno giovani che cominciano col "farsi i fatti propri" e, magari, a fronte di una realtà che, se non formalmente, sostanzialmente promuove come perfettamente accettabile una determinata abitudine finiscono col concedersi, di tanto in tanto, un "tiramisù".

Eppure, sotto sotto, questo stato di perenne contraddittorietà viene percepito e genera, come è ovvio, scompensi e disagi psicologici, soprattutto nelle menti più fragili: scompensi e disagi per i quali è necessario trovare una cura, un rimedio che, a fronte di diuturni peccati omissivi ci consenta di resuscitare almeno una parvenza di dignità. Di fronte a noi stessi e, soprattutto, di fronte agli altri.

Pronti, eccoci qua: basta deificare il contributo fiscale e mettere lo scontrino nel Tabernacolo per poi prostrarsi in estatica adorazione.

Ogni peccato viene così mondato e, col petto gonfio di vuota "virtù civica" possiamo sentirci pure un pochino "eroi", e fingere così che il mondo attorno a noi non stia continuando a sfasciarsi. Pezzo dopo pezzo.