lunedì 2 gennaio 2012

L'INELUDIBILE NECESSITÀ DI INVESTIRE IN CONFLITTO

di Francesco Natale

Laddove i "professionisti della politica" vincevano i referendum da soli, gli "homines novi" vengono invece spediti a spasso da algidi professori...

In politica, così come nel vissuto quotidiano, è impossibile pensare di piacere a tutti. Sempre e comunque. Il conflitto e la capacità di gestione del medesimo stanno alla base di qualunque azione realmente incidente, realmente efficace, realmente migliorativa rispetto allo status quo. La capacità di mediare e di gestire trattative complesse e all'apparenza insolubili, poiché disomogenee, è solo una parte dell'azione politica. Parte che, da sola, produce stagnazione e sterilità. Immobilismo, in una parola. L'ossessione patologica del voler individuare ad ogni costo soluzioni che non facessero male a nessuno, rinunciando così tout court all'investimento proattivo nel conflitto, è stato il grande male che ha contaminato la politica italiana negli ultimi vent'anni. Ne è rimasta vittima la sinistra, incapace a tutt'oggi di redigere un programma politico organico e credibile che non sia assoggettato agli infiniti diktat del sindacato, di Confindustria, della lobby bancaria, della lobby LGBT (lesbo-gay-bisex-transgender), degli innumerevoli gruppi di pressione i cui interessi particolari satellizzano il Partito Democratico molto più di quanto facessero col PCI. Ma per ragioni diverse né è rimasto vittima soprattutto il centrodestra.

Partiamo da un dato storico, che non vuole in nessun modo suscitare nostalgici piagnistei né melensaggini passatiste: nel 1985 Bettino Craxi, attraverso il cosiddetto "decreto di San Valentino", tagliò di quattro punti la Scala Mobile, ovvero quel meccanismo che comportava l'adeguamento automatico delle retribuzioni al tasso di inflazione. Craxi disintegrò il tabù del patto di unità sindacale, poiché mentre CISL e UIL accettarono la trattativa, la CGIL abbandonò sdegnata il tavolo di concertazione, per poi correre a mendicare l'aiuto del PCI, che allestì un'offensiva mortale contro il presidente del Consiglio e il suo decreto. Craxi pose la fiducia sul provvedimento e la ottenne, nonostante il selvaggio ostruzionismo parlamentare del Partito Comunista. Ma CGIL e PCI non considerarono la partita chiusa: raccolsero infatti le firme necessarie per il referendum abrogativo e scesero in trincea con la sicurezza assoluta di vincere a mani basse. A quel punto tutto il Pentapartito fece marcia indietro: i soggetti più prudenti ritenevano sconsigliabile premere fino in fondo l'acceleratore, quelli più opportunisti considerarono Craxi un povero pazzo, partendo dal presupposto che un PSI che arrivava attorno all'8,5% non avrebbe mai potuto vincere contro il titano comunista. Non solo: la pressoché certa sconfitta al referendum avrebbe decretato la fine del governo Craxi ed una conseguente riconfigurazione dei rapporti di forza. Craxi non ascoltò i prudenti pontieri, le suadenti "colombe" e i mercenari d'accatto, e fece di testa sua: si impegnò in prima persona nella folgorante campagna referendaria della primavera del 1985 e vinse da solo un referendum epocale. Scelse coscientemente di investire in conflitto e così sconfisse, da solo, certamente il PCI e la CGIL, usciti esulcerati dalla debacle, ma anche la prudente DC e le altre forze liberali che, pasciute di cerchiobottismo, ritenevano irragionevolmente temeraria e pericolosa la scelta del presidente del Consiglio.

Attenzione: quella che certamente fu una vittoria personale del "cinghiale", come spregiativamente lo chiamavano i detrattori, contribuì a produrre effetti assolutamente salutari per l'Italia tutta, come il decremento dell'inflazione dal 12,30% al 5,20%, l'aumento dei livelli salariali fino a ben 2 punti sopra il tasso dell'inflazione, sviluppo economico del paese secondo solo a quello del Giappone e superamento dell'Inghilterra, alla quale strappammo il quinto posto tra i paesi industrializzati del mondo sia per reddito nazionale che pro-capite. Accidenti! Vuoi vedere che investire in conflitto paga per tutti?

Uno scenario inimmaginabile se rapportato all'esperienza politica dell'ultimo ventennio: nessun governo, di sinistra meno che meno ma neppure di destra, sarebbe stato in grado di prodursi in un "exploit flamboyant" di questo tipo. Perché? A questo punto, vista la piega tutt'altro che allegra che stanno prendendo le cose, forse una risposta ce la meriteremmo pure. Proverò qui sinteticamente a fornirne una, personale e quindi opinabile quanto volete.

In primo luogo: i costrutti realizzati in provetta dentro ad un laboratorio non funzionano nel contesto reale. Partiti di plastica confezionati come un abito sartoriale sulla figura di un leader, per quanto carismatico egli possa essere, sono destinati al fallimento. Al fallimento più paradossale che si possa concepire: quello per eccesso di vittorie. L'abolizione per statuto di ogni momento di confronto serio, di dibattito interno, di contestazione più o meno accesa, di discussione sia a livello centrale che, soprattutto, periferico comporta un'unica conseguenza: atrofizzare progressivamente i muscoli del conflitto, rendendo pertanto incapace una classe dirigente di reagire efficacemente all'ostruzionismo, all'interdizione, ai bizantinismi che dai tempi di Atene fanno parte del DNA della dialettica politica.

Allo stesso modo l'aver confezionato volutamente un parlamento su misura, in stragrande maggioranza costituito da adoranti "yes men" pronti in apparenza a difendere anche l'indifendibile, presuntivamente vincolati da un perenne debito di gratitudine nei confronti di colui che li ha omaggiati graziosamente di un seggio e conseguentemente privi di qualsivoglia personalità e spessore politico reale, risulta come minimo controproducente: al primo volger di marea, infatti, chi è stato educato e cresciuto all'opportunismo si comporta di conseguenza. Come stupirsi che il serpente morda e lo scorpione punga? Alla Natura, che come si dovrebbe sapere ha la testa dura, non si può indefinitamente andare contro. Un partito, infatti, anche quello più asfittico, ingessato e plastic oso, vive di una propria vita per quanto sotterranea e squallida essa possa essere, e i cesaricidi non rappresentano un eventuale incidente di percorso: esistono sempre e comunque e non sono eliminabili per decreto. Tanto vale pragmaticamente farci i conti e correre per tempo ai ripari, perché la supposta "gratitudine" ha sempre una data di scadenza.

A questo deve aggiungersi una forzatura linguistica (e quindi politica) che, se ha vellicato certo popolar sentire sul breve periodo, ha generato in realtà i presupposti perché proliferasse quel fenomeno devastante che chiamiamo eufemisticamente "antipolitica". L'insistenza costante nel sostituire spregiativamente l'espressione "parlamentarismo" con "assemblearismo", assimilando così nell'immaginario collettivo Montecitorio a una riunione condominiale a Scampia, ha prodotto risultati deleteri.

Allo stesso modo si è rivelata esiziale l'invettiva diuturna contro "i professionisti della politica", visti come il nemico oggettivo da abbattere: una viareggiata infantile e parecchio ingenua, poiché laddove i "professionisti della politica" vincevano i referendum da soli, gli "homines novi" vengono invece spediti a spasso da algidi professori... L'idea stessa, inoltre, che il parlamento fosse una colossale palla al piede per l'esecutivo rispecchia un’attitudine autoreferenziale che in politica paga quanto il due di picche: se in casa mia posso pure giocare a fare il demiurgo annichilendo per regio decreto ogni forma di fattiva collaborazione così come di legittima contestazione, di sinergia, insomma, tra i poteri dello Stato, per forza di cose quando mi recherò in "casa d'altri", si tratti di un consesso internazionale così come di un tavolo di concertazione nazionale, non saprò che pesci pigliare di fronte a soggetti a me comunque ostili, che non giocano secondo regole da me predeterminate. Soprattutto se, come scrivevo all'inizio, sono ossessionato dall'idea fissa di piacere a tutti. Sempre e comunque. Al punto tale che mi risulti inconcepibile, ai limiti della blasfemia, il fatto che io possa stare allegramente sui coglioni a mezzo mondo...

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