di Francesco Natale
Laddove i "professionisti della politica"
vincevano i referendum da soli, gli "homines novi" vengono invece
spediti a spasso da algidi professori...
In politica, così come nel vissuto quotidiano, è
impossibile pensare di piacere a tutti. Sempre e comunque. Il conflitto e la
capacità di gestione del medesimo stanno alla base di qualunque azione
realmente incidente, realmente efficace, realmente migliorativa rispetto allo
status quo. La capacità di mediare e di gestire trattative complesse e
all'apparenza insolubili, poiché disomogenee, è solo una parte dell'azione
politica. Parte che, da sola, produce stagnazione e sterilità. Immobilismo, in
una parola. L'ossessione patologica del voler individuare ad ogni costo soluzioni
che non facessero male a nessuno, rinunciando così tout court all'investimento
proattivo nel conflitto, è stato il grande male che ha contaminato la politica
italiana negli ultimi vent'anni. Ne è rimasta vittima la sinistra, incapace a
tutt'oggi di redigere un programma politico organico e credibile che non sia
assoggettato agli infiniti diktat del sindacato, di Confindustria, della lobby
bancaria, della lobby LGBT (lesbo-gay-bisex-transgender), degli innumerevoli
gruppi di pressione i cui interessi particolari satellizzano il Partito
Democratico molto più di quanto facessero col PCI. Ma per ragioni diverse né è
rimasto vittima soprattutto il centrodestra.
Partiamo da un dato storico, che non vuole in nessun modo
suscitare nostalgici piagnistei né melensaggini passatiste: nel 1985 Bettino
Craxi, attraverso il cosiddetto "decreto di San Valentino", tagliò di
quattro punti la Scala Mobile, ovvero quel meccanismo che comportava
l'adeguamento automatico delle retribuzioni al tasso di inflazione. Craxi disintegrò
il tabù del patto di unità sindacale, poiché mentre CISL e UIL accettarono la
trattativa, la CGIL abbandonò sdegnata il tavolo di concertazione, per poi
correre a mendicare l'aiuto del PCI, che allestì un'offensiva mortale contro il
presidente del Consiglio e il suo decreto. Craxi pose la fiducia sul provvedimento
e la ottenne, nonostante il selvaggio ostruzionismo parlamentare del Partito
Comunista. Ma CGIL e PCI non considerarono la partita chiusa: raccolsero
infatti le firme necessarie per il referendum abrogativo e scesero in trincea
con la sicurezza assoluta di vincere a mani basse. A quel punto tutto il
Pentapartito fece marcia indietro: i soggetti più prudenti ritenevano
sconsigliabile premere fino in fondo l'acceleratore, quelli più opportunisti
considerarono Craxi un povero pazzo, partendo dal presupposto che un PSI che
arrivava attorno all'8,5% non avrebbe mai potuto vincere contro il titano
comunista. Non solo: la pressoché certa sconfitta al referendum avrebbe
decretato la fine del governo Craxi ed una conseguente riconfigurazione dei
rapporti di forza. Craxi non ascoltò i prudenti pontieri, le suadenti
"colombe" e i mercenari d'accatto, e fece di testa sua: si impegnò in
prima persona nella folgorante campagna referendaria della primavera del 1985 e
vinse da solo un referendum epocale. Scelse coscientemente di investire in
conflitto e così sconfisse, da solo, certamente il PCI e la CGIL, usciti
esulcerati dalla debacle, ma anche la prudente DC e le altre forze liberali
che, pasciute di cerchiobottismo, ritenevano irragionevolmente temeraria e
pericolosa la scelta del presidente del Consiglio.
Attenzione: quella che certamente fu una vittoria
personale del "cinghiale", come spregiativamente lo chiamavano i
detrattori, contribuì a produrre effetti assolutamente salutari per l'Italia
tutta, come il decremento dell'inflazione dal 12,30% al 5,20%, l'aumento dei
livelli salariali fino a ben 2 punti sopra il tasso dell'inflazione, sviluppo
economico del paese secondo solo a quello del Giappone e superamento
dell'Inghilterra, alla quale strappammo il quinto posto tra i paesi
industrializzati del mondo sia per reddito nazionale che pro-capite. Accidenti!
Vuoi vedere che investire in conflitto paga per tutti?
Uno scenario inimmaginabile se rapportato all'esperienza
politica dell'ultimo ventennio: nessun governo, di sinistra meno che meno ma
neppure di destra, sarebbe stato in grado di prodursi in un "exploit
flamboyant" di questo tipo. Perché? A questo punto, vista la piega tutt'altro
che allegra che stanno prendendo le cose, forse una risposta ce la meriteremmo
pure. Proverò qui sinteticamente a fornirne una, personale e quindi opinabile
quanto volete.
In primo luogo: i costrutti realizzati in provetta dentro
ad un laboratorio non funzionano nel contesto reale. Partiti di plastica
confezionati come un abito sartoriale sulla figura di un leader, per quanto
carismatico egli possa essere, sono destinati al fallimento. Al fallimento più
paradossale che si possa concepire: quello per eccesso di vittorie. L'abolizione
per statuto di ogni momento di confronto serio, di dibattito interno, di
contestazione più o meno accesa, di discussione sia a livello centrale che,
soprattutto, periferico comporta un'unica conseguenza: atrofizzare progressivamente
i muscoli del conflitto, rendendo pertanto incapace una classe dirigente di
reagire efficacemente all'ostruzionismo, all'interdizione, ai bizantinismi che
dai tempi di Atene fanno parte del DNA della dialettica politica.
Allo stesso modo l'aver confezionato volutamente un parlamento su misura, in stragrande maggioranza costituito da adoranti "yes men" pronti in apparenza a difendere anche l'indifendibile, presuntivamente vincolati da un perenne debito di gratitudine nei confronti di colui che li ha omaggiati graziosamente di un seggio e conseguentemente privi di qualsivoglia personalità e spessore politico reale, risulta come minimo controproducente: al primo volger di marea, infatti, chi è stato educato e cresciuto all'opportunismo si comporta di conseguenza. Come stupirsi che il serpente morda e lo scorpione punga? Alla Natura, che come si dovrebbe sapere ha la testa dura, non si può indefinitamente andare contro. Un partito, infatti, anche quello più asfittico, ingessato e plastic oso, vive di una propria vita per quanto sotterranea e squallida essa possa essere, e i cesaricidi non rappresentano un eventuale incidente di percorso: esistono sempre e comunque e non sono eliminabili per decreto. Tanto vale pragmaticamente farci i conti e correre per tempo ai ripari, perché la supposta "gratitudine" ha sempre una data di scadenza.
Allo stesso modo l'aver confezionato volutamente un parlamento su misura, in stragrande maggioranza costituito da adoranti "yes men" pronti in apparenza a difendere anche l'indifendibile, presuntivamente vincolati da un perenne debito di gratitudine nei confronti di colui che li ha omaggiati graziosamente di un seggio e conseguentemente privi di qualsivoglia personalità e spessore politico reale, risulta come minimo controproducente: al primo volger di marea, infatti, chi è stato educato e cresciuto all'opportunismo si comporta di conseguenza. Come stupirsi che il serpente morda e lo scorpione punga? Alla Natura, che come si dovrebbe sapere ha la testa dura, non si può indefinitamente andare contro. Un partito, infatti, anche quello più asfittico, ingessato e plastic oso, vive di una propria vita per quanto sotterranea e squallida essa possa essere, e i cesaricidi non rappresentano un eventuale incidente di percorso: esistono sempre e comunque e non sono eliminabili per decreto. Tanto vale pragmaticamente farci i conti e correre per tempo ai ripari, perché la supposta "gratitudine" ha sempre una data di scadenza.
A questo deve aggiungersi una forzatura linguistica (e
quindi politica) che, se ha vellicato certo popolar sentire sul breve periodo,
ha generato in realtà i presupposti perché proliferasse quel fenomeno
devastante che chiamiamo eufemisticamente "antipolitica". L'insistenza
costante nel sostituire spregiativamente l'espressione
"parlamentarismo" con "assemblearismo", assimilando così
nell'immaginario collettivo Montecitorio a una riunione condominiale a Scampia,
ha prodotto risultati deleteri.
Allo stesso modo si è rivelata esiziale l'invettiva
diuturna contro "i professionisti della politica", visti come il
nemico oggettivo da abbattere: una viareggiata infantile e parecchio ingenua,
poiché laddove i "professionisti della politica" vincevano i
referendum da soli, gli "homines novi" vengono invece spediti a spasso
da algidi professori... L'idea stessa, inoltre, che il parlamento fosse una
colossale palla al piede per l'esecutivo rispecchia un’attitudine
autoreferenziale che in politica paga quanto il due di picche: se in casa mia
posso pure giocare a fare il demiurgo annichilendo per regio decreto ogni forma
di fattiva collaborazione così come di legittima contestazione, di sinergia,
insomma, tra i poteri dello Stato, per forza di cose quando mi recherò in
"casa d'altri", si tratti di un consesso internazionale così come di
un tavolo di concertazione nazionale, non saprò che pesci pigliare di fronte a
soggetti a me comunque ostili, che non giocano secondo regole da me
predeterminate. Soprattutto se, come scrivevo all'inizio, sono ossessionato
dall'idea fissa di piacere a tutti. Sempre e comunque. Al punto tale che mi
risulti inconcepibile, ai limiti della blasfemia, il fatto che io possa stare
allegramente sui coglioni a mezzo mondo...
Nessun commento:
Posta un commento