mercoledì 4 gennaio 2012

Due copioni, una scelta

I copioni fanno la storia. La storia dei singoli e delle nazioni. Lo schema dell'analisi transazionale di Berne ne individua le caratteristiche strutturali. Gli uomini si muovono secondo movenze definite e determinate: copioni ai quali corrispondono schemi analitici. Due copioni ci interessano: Sacconi e Tremonti. Due copioni che hanno fatto il Pdl e costituito la cifra politico-culturale specifica di una storia. Se è vero, com'è vero, che il berlusconismo sia, di fatto, un "racconto totale" del nostro popolo, dell'Italia come nazione e cultura antropologica, come ha acutamente scritto Marco Revelli - enfatizzando un tratto a suo dire critico, nei fatti sinteticamente iper-politico e, insieme, post-ideologico -, è altresì vero che tale racconto lasci aperto il vaglio storico ad una galleria di interpreti che ne fanno un copione specifico, efficace, originale. L'ex ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, ha rilasciato un'intervista al "Corriere della Sera", allo scadere dell'anno che è ormai alle nostre spalle, in cui afferma che la manovra del direttorio montian-bancario è oggettivamente "depressiva", dunque non solamente recessiva, e che, di conseguenza, siamo a rischio "disgregazione sociale". La politica deve parlare la lingua della verità e le parole devono essere come pietre, e queste lo sono. Negli anni '70 del secolo scorso, il ceto medio era alleato dello stato, contro il terrorismo. L'asse politico unitario della solidarietà nazionale costituiva anche l'asset sociale e socioeconomico stabile e forte di questo Paese. Il fattore politico era coesivo e il collante socioeconomico c'era tutto. Oggi, a causa non soltanto della crisi finanziaria, ma grazie anche allo sbilanciamento nichilistico puntato in direzione della disgregazione degli assetti antropologici (una bella ripassatina non ideologica al Pasolini degli "Scritti corsari" non farebbe male), l'Italia è una nazione senza identità - si badi: ho scritto "nazione", non "paese" o "sistema-paese" - ed una comunità quasi priva di radicamenti certi e centrati sulla tradizione e sulla cultura di un popolo. L'Italia è stata assaltata senza pietà alcuna, da parte a parte, da ondate eversivo-nichilistiche e, a partire dalla fine degli anni '60 del secolo scorso, fatica a ritrovare la strada identitaria. Le ideologie sono servite a cementare eserciti in lotta, ma non hanno fatto molto per salvare la nazione - ancora una volta: nazione - dalla disgregazione. Dunque: siamo già nella disgregazione compiuta. La crisi è il volano di un passaggio di lungo periodo che, oggi, assomma molti altri fattori - il ceto medio a gambe all'aria, il più evidente - e, dunque, sembra essere il colpo decisivo. Ma è stato decisivo tutto il processo e, oggi, siamo al compimento di questo processo: quando una nazione è così sfaldata, è ovviamente impreparata a reggere urti di particolare entità. Il nichilismo è una realtà vagliata attentamente da Sacconi, che si affatica da tempo sulla necessità di sprigionare le forze vitali del Paese, perché senza forza vitale, ideali, interessi condivisi, non si va da nessuna parte. O meglio: si va in vacca. Altro che bene comune. Il bene comune non è la "volontà generale" di Rousseau, non è un pendant neototalitario ad uso e consumo dei tecnicastri sciatti e grigi, per far passare il copione - ecco l'altro copione diabolico - della violenza sul popolo come unica strada per uscire dall'angolo. Come a dire: ammazzo il cavallo, ma pretendo che corra. Il bene comune va studiato attentamente e citato a proposito. Ritorneremo su questa categoria declcinata sempre in ambiti locali e specifici, non in chiave generalista ed astrattamente universalistica, a sostegno di Piani quinquennali della miseria. Questa è la "miseria della filosofia", derivante dalla "filosofia della miseria"...in vista del bel sol dell'avvenire tecno-proceduralista: il paradiso degli imbecilli. Fatto sta che, con questo marchingegno demonico, il Pdl si sta facendo la corda per un'impicaggione coi fiocchi. Un suicidio niente male, non c'è neanche bisogno del boia. La Maglie e Bechis l'hanno scritto su "Libero": è la pura verità. Un anno di questa violenza sul popolo, senza che il partito del grande sogno nazionale - non nazionalistico - e del racconto totale del berlusconismo come macro-sintesi del liberalismo sociale, del cattolicesimo sturziano e del socialismo craxiano, e la partita è chiusa. Dopo, per riaprire la strada della politica, sarà assai arduo, e la memoria in un tempo di nichilisti compiuti non favorisce affatto la ripresa. In realtà, l'Italia non solo non se la passava così male - già, è proprio così, dati oggettivamente letti alla mano -, ma poteva ancora correre un bel pò, solo che, con l'opposizione sfascista che abbiamo e i sindacati corporativi parafascisti-comunisti che ci ritroviamo, con tutti gli addentellati in ambiti anche istituzionalmente elevati, ad esempio, la Camera, la corsa è finita presto. Gli errori del Pdl sono a noi ben noti, ma la deriva tecno-nichilista conduce l'Italia alla fine di un processo di tentata ricostruzione della politica, dopo il golpe bianco del '92-'93. Sono gli stessi di allora, amici dei protagonisti del massacro di allora, oggi in veste di "esperti" e chirurghi con la sala operatoria sempre aperta. Gli anti-italiani, che parlano inglese anche in veste di capo del direttorio e con un decreto diabolicamente chiamato "salva-Italia": il mondo finirà con lo sbadiglio degli astanti, che non manca di cinismo, a dire il vero, visto che finora, per i debiti, si sono ammazzate 13 persone. Ecco allora che Tremonti, nell'intervista del 4 gennaio, sempre sul "Corriere della Sera", rimanda all'ulteriore "perdita di sovranità" dell'Italia a fronte di un prestito di 300-400 miliardi del Fmi, che non basterebbe a risanare, ma a depotenziare il Politico nel senso schmittiano del termine - cioè la forza sovrana di decidere sullo stato di eccezione -, questo sì, basterebbe e avanzerebbe. La sovranità nazionale: un orpello, secondo gli ideologi nichilisti della Tèchne al potere, primo fra tutti, Cacciari. Ma, nei copioni descritti, con Sacconi e Tremonti, che guardano al Politico come fattore generativo e di ripresa della forza vitale di una nazione, tutt'altro che orpello, dimensione decisiva. La scelta è di fronte a noi: o il pre-dominio senza sovranità della tecno-burocrazia nichilista si traduce in chance di ri-definizione della politica come arte della decisione e "scienza" del Progetto, oppure addio alla nazione-Italia e vittoria del nichilismo desertificante. Come molti segnali, purtroppo, fanno pensare. Un anno ancora di questa sbobba mortifera, ed è finito tutto. A meno che...
Raffaele Iannuzzi

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