Indipendentemente dalla
valutazioni etiche in materia di evasione fiscale dobbiamo amaramente prendere
atto di una realtà: in
Italia si adora un nuovo vitello d'oro, chiamato
"educazione fiscale".
Partiamo dai fatti: il
giovane Alessandro Rimassa, ha denunciato alla Guardia di Finanza un panettiere
milanese reo di avere sistematicamente violato l'obbligo di rilasciare lo
scontrino fiscale ad una torma di avventori notturni. La notizia, studiatamente
diffusa, ha destato scalpore: dal TG3 a Matrix il giovane coautore di
"Generazione mille Euro" ha ricevuto l'oro, l'incenso e la mirra di
tutti i commentatori che lo hanno indicato come modello esemplare di
"virtù civica", nonché l'applauso spellamani dei 12.000 ierofanti che
hanno sottoscritto la sua pagina FB "Io denuncio. E tu?". Rimassa ha
parlato senza peli sulla lingua, facendo ovviamente understatement come
strategia all'uopo richiede e sostenendo al contempo l'obbligo morale alla
delazione, anche anonima, visto che la legge consente di omettere le proprie
generalità in caso di "civica" denuncia del reato che oggi non è più
semplice fattispecie criminosa prevista dal codice penale, ma ha assunto
connotazioni metafisiche che la fanno assurgere al rango di lesa divina maestà.
Ora, non mi interessa qui
discettare sulla maggiore o minore giustificabilità dell'evasione fiscale o
sull'obbligo/dovere di obbedire al nuovo comandamento che impone la delazione,
quanto più riflettere, serenamente e severamente, sulla implicita
contraddizione oltre i limiti del paradosso che il nuovo modello di
"educazione fiscale" conculca.
Questa la considerazione
preliminare: nella panetteria oggetto di "auto da fè" alle 4.11 del
mattino si trovavano circa 80 ragazzi, come in ogni panetteria di grande città
di tutto il paese. Ragazzi che avevano trascorso la serata in discoteca, a cena
a casa di amici, ad un rave party, ad un concerto fuori porta o, più
semplicemente, a cazzeggiare in giro fino all'alba.
Chi ha dimestichezza col
mondo della notte (e il sottoscritto vive a cicli invertiti...) o comunque ha
una vita sociale dinamica e variegata sa perfettamente dove, quando e come
procurarsi sostanze psicotrope.
Attenzione: non sto in alcun
modo postulando che i suddetti ragazzi, Rimassa compreso, facciano uso o
abbiano mai fatto uso di stupefacenti, bensì che statisticamente almeno la metà
di loro possa avere cognizione netta di luoghi e persone preposti alla
distribuzione delle medesime.
E a questo punto sarei
curioso di sapere se il principio di delazione risulta essere omnicomprensivo e
assorbente oppure dotato di unidirezionale specificità per quanto concerne i
reati fiscali.
Temo purtroppo che sia più
veritiera la seconda ipotesi.
Questo per tre distinte
ragioni di crescente ordine di gravità: la prima di carattere eminentemente
tecnico-giuridico, poiché non è possibile avvalersi di uno "sportello
amico" o di un sito come www.evasione.it per denunciare uno spacciatore,
poiché la legge impone denunce circoscritte e sostanziate da elementi probatori
oggettivi ( spesso e volentieri non basta nemmeno la cosiddetta "pistola
fumante" a causa di una disciplina penalistica farraginosa e
contraddittoria che si maschera dietro allo schermo ipocrita della
"percentuale di principio attivo") tutti tesi a disincentivare la
delazione.
La seconda ragione inerisce
alla paura e ad un distorto senso dell'autoconservazione: è prassi educativa
diffusa, anche se grazie a Dio non universale, insegnare fin dalla più tenera
età al fantolino che bisogna farsi i fatti propri, voltarsi dall'altra parte,
tirare innanzi e non immischiarsi nelle faccende altrui, soprattutto se tali
faccende riguardano il "milieu" che ruota attorno allo spaccio. Ora,
se ciò serve come deterrente acciocché i nostri adolescenti stiano lontani
sempre, comunque e ancora sempre dalla realtà della droga, ben venga. Ma troppo
spesso questo approccio educativo produce il solo risultato di allevare
omertosi potenziali che neppure sono coscienti di tollerare, giorno dopo
giorno, l'intollerabile, complice anche un sistema scolastico che, avendo
sostituito i sani programmi di una volta con i "POF" (acronimo che
per onomatopea ricorda molto da vicino una deiezione bovina...), ovvero il
"piano dell'offerta formativa", demolisce quel poco di apparato critico
che può essere sopravvissuto alla debellatio famigliare. Quanto alla paura, è
ovvio che denunciare uno spacciatore comporta una assunzione di rischio
personale notevole, mentre risulta sostanzialmente innocuo denunciare un
panettiere, fatto salvo il
caso di molitori particolarmente nerboruti e poco inclini all'empatia.
Ma è la terza ragione quella
in assoluto più grave e indice di una disgregazione del tessuto sociale
spaventosa ed inarrestabile: se oggi la mancata emissione dello scontrino
fiscale implica la massima riprovazione sociale possibile, l'esser marchiati a
fuoco come parassiti e come principali responsabili dello sfacelo dei conti
pubblici, esimendo al contempo da ogni responsabilità quanti hanno
effettivamente generato ciclopici buchi di bilancio nella finanza pubblica,
d'altro canto la droga viene percepita come fenomeno nel migliore dei casi
inevitabile, nel peggiore come socialmente accettabile o, addirittura,
socialmente promozionale.
I dati, per quanto
incompleti, parlano chiaro: nella sola città di Milano si stima che vengano
quotidianamente consumate 10.000 dosi di cocaina, a fronte di zero denunce
spontanee. E proprio in questo sta la maggior forza del demi-monde degli
spacciatori: non nella paura, non tanto e non solo nell'omertà diffusa quanto
più nell'asepsi morale che affligge tanti giovani e meno giovani che cominciano
col "farsi i fatti propri" e, magari, a fronte di una realtà che, se
non formalmente, sostanzialmente promuove come perfettamente accettabile una
determinata abitudine finiscono col concedersi, di tanto in tanto, un
"tiramisù".
Eppure, sotto sotto, questo
stato di perenne contraddittorietà viene percepito e genera, come è ovvio,
scompensi e disagi psicologici, soprattutto nelle menti più fragili: scompensi
e disagi per i quali è necessario trovare una cura, un rimedio che, a fronte di
diuturni peccati omissivi ci consenta di resuscitare almeno una parvenza di
dignità. Di fronte a noi stessi e, soprattutto, di fronte agli altri.
Pronti, eccoci qua: basta
deificare il contributo fiscale e mettere lo scontrino nel Tabernacolo per poi
prostrarsi in estatica adorazione.
Ogni peccato viene così
mondato e, col petto gonfio di vuota "virtù civica" possiamo sentirci
pure un pochino "eroi", e fingere così che il mondo attorno a noi non
stia continuando a sfasciarsi. Pezzo dopo pezzo.
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