venerdì 3 febbraio 2012

LO SCONTRINO NEL TABERNACOLO


  "Oggi in Italia si adora  un nuovo vitello d'oro, chiamato "educazione fiscale".


Di Francesco Natale
 

Indipendentemente dalla valutazioni etiche in materia di evasione fiscale dobbiamo amaramente prendere atto di una realtà: in Italia si adora un nuovo vitello d'oro, chiamato "educazione fiscale".

Partiamo dai fatti: il giovane Alessandro Rimassa, ha denunciato alla Guardia di Finanza un panettiere milanese reo di avere sistematicamente violato l'obbligo di rilasciare lo scontrino fiscale ad una torma di avventori notturni. La notizia, studiatamente diffusa, ha destato scalpore: dal TG3 a Matrix il giovane coautore di "Generazione mille Euro" ha ricevuto l'oro, l'incenso e la mirra di tutti i commentatori che lo hanno indicato come modello esemplare di "virtù civica", nonché l'applauso spellamani dei 12.000 ierofanti che hanno sottoscritto la sua pagina FB "Io denuncio. E tu?". Rimassa ha parlato senza peli sulla lingua, facendo ovviamente understatement come strategia all'uopo richiede e sostenendo al contempo l'obbligo morale alla delazione, anche anonima, visto che la legge consente di omettere le proprie generalità in caso di "civica" denuncia del reato che oggi non è più semplice fattispecie criminosa prevista dal codice penale, ma ha assunto connotazioni metafisiche che la fanno assurgere al rango di lesa divina maestà.

Ora, non mi interessa qui discettare sulla maggiore o minore giustificabilità dell'evasione fiscale o sull'obbligo/dovere di obbedire al nuovo comandamento che impone la delazione, quanto più riflettere, serenamente e severamente, sulla implicita contraddizione oltre i limiti del paradosso che il nuovo modello di "educazione fiscale" conculca.

Questa la considerazione preliminare: nella panetteria oggetto di "auto da fè" alle 4.11 del mattino si trovavano circa 80 ragazzi, come in ogni panetteria di grande città di tutto il paese. Ragazzi che avevano trascorso la serata in discoteca, a cena a casa di amici, ad un rave party, ad un concerto fuori porta o, più semplicemente, a cazzeggiare in giro fino all'alba.

Chi ha dimestichezza col mondo della notte (e il sottoscritto vive a cicli invertiti...) o comunque ha una vita sociale dinamica e variegata sa perfettamente dove, quando e come procurarsi sostanze psicotrope.

Attenzione: non sto in alcun modo postulando che i suddetti ragazzi, Rimassa compreso, facciano uso o abbiano mai fatto uso di stupefacenti, bensì che statisticamente almeno la metà di loro possa avere cognizione netta di luoghi e persone preposti alla distribuzione delle medesime.

E a questo punto sarei curioso di sapere se il principio di delazione risulta essere omnicomprensivo e assorbente oppure dotato di unidirezionale specificità per quanto concerne i reati fiscali.

Temo purtroppo che sia più veritiera la seconda ipotesi.

Questo per tre distinte ragioni di crescente ordine di gravità: la prima di carattere eminentemente tecnico-giuridico, poiché non è possibile avvalersi di uno "sportello amico" o di un sito come www.evasione.it per denunciare uno spacciatore, poiché la legge impone denunce circoscritte e sostanziate da elementi probatori oggettivi ( spesso e volentieri non basta nemmeno la cosiddetta "pistola fumante" a causa di una disciplina penalistica farraginosa e contraddittoria che si maschera dietro allo schermo ipocrita della "percentuale di principio attivo") tutti tesi a disincentivare la delazione.

La seconda ragione inerisce alla paura e ad un distorto senso dell'autoconservazione: è prassi educativa diffusa, anche se grazie a Dio non universale, insegnare fin dalla più tenera età al fantolino che bisogna farsi i fatti propri, voltarsi dall'altra parte, tirare innanzi e non immischiarsi nelle faccende altrui, soprattutto se tali faccende riguardano il "milieu" che ruota attorno allo spaccio. Ora, se ciò serve come deterrente acciocché i nostri adolescenti stiano lontani sempre, comunque e ancora sempre dalla realtà della droga, ben venga. Ma troppo spesso questo approccio educativo produce il solo risultato di allevare omertosi potenziali che neppure sono coscienti di tollerare, giorno dopo giorno, l'intollerabile, complice anche un sistema scolastico che, avendo sostituito i sani programmi di una volta con i "POF" (acronimo che per onomatopea ricorda molto da vicino una deiezione bovina...), ovvero il "piano dell'offerta formativa", demolisce quel poco di apparato critico che può essere sopravvissuto alla debellatio famigliare. Quanto alla paura, è ovvio che denunciare uno spacciatore comporta una assunzione di rischio personale notevole, mentre risulta sostanzialmente innocuo denunciare un panettiere, fatto salvo il caso di molitori particolarmente nerboruti e poco inclini all'empatia.

Ma è la terza ragione quella in assoluto più grave e indice di una disgregazione del tessuto sociale spaventosa ed inarrestabile: se oggi la mancata emissione dello scontrino fiscale implica la massima riprovazione sociale possibile, l'esser marchiati a fuoco come parassiti e come principali responsabili dello sfacelo dei conti pubblici, esimendo al contempo da ogni responsabilità quanti hanno effettivamente generato ciclopici buchi di bilancio nella finanza pubblica, d'altro canto la droga viene percepita come fenomeno nel migliore dei casi inevitabile, nel peggiore come socialmente accettabile o, addirittura, socialmente promozionale.

I dati, per quanto incompleti, parlano chiaro: nella sola città di Milano si stima che vengano quotidianamente consumate 10.000 dosi di cocaina, a fronte di zero denunce spontanee. E proprio in questo sta la maggior forza del demi-monde degli spacciatori: non nella paura, non tanto e non solo nell'omertà diffusa quanto più nell'asepsi morale che affligge tanti giovani e meno giovani che cominciano col "farsi i fatti propri" e, magari, a fronte di una realtà che, se non formalmente, sostanzialmente promuove come perfettamente accettabile una determinata abitudine finiscono col concedersi, di tanto in tanto, un "tiramisù".

Eppure, sotto sotto, questo stato di perenne contraddittorietà viene percepito e genera, come è ovvio, scompensi e disagi psicologici, soprattutto nelle menti più fragili: scompensi e disagi per i quali è necessario trovare una cura, un rimedio che, a fronte di diuturni peccati omissivi ci consenta di resuscitare almeno una parvenza di dignità. Di fronte a noi stessi e, soprattutto, di fronte agli altri.

Pronti, eccoci qua: basta deificare il contributo fiscale e mettere lo scontrino nel Tabernacolo per poi prostrarsi in estatica adorazione.

Ogni peccato viene così mondato e, col petto gonfio di vuota "virtù civica" possiamo sentirci pure un pochino "eroi", e fingere così che il mondo attorno a noi non stia continuando a sfasciarsi. Pezzo dopo pezzo.

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